Wednesday 26 December 2007

L'On. Wilson

Mini-recensione di Charlie Wilson's war, nuovo film di Mike Nichols sul supporto del Congresso e della CIA alla resistenza anti-sovietica dei mujahideen in Afghanistan. Piuttosto satirico, per essere un polpettone di Hollywood. E ben fatto, a mio parere, nei dialoghi, dettagli storici, e nel ricreare l'atmosfera yuppie-decadente degli anni '80.

Essendo Hollywood, però, il finale non può essere che scontato: gli americani sanno vincere le guerre, ma non sanno vincere la pace. Il riferimento, ovviamente, è a tutte le paci che l'America non ha saputo vincere, ma questo è anche un punto sul quale ci si potrebbe e dovrebbe soffermare ben oltre una battuta ad effetto dell'On. Wilson.

Monday 17 December 2007

"Ci metterei la firma"

L'articolo del New York Times sull'Italia ha, com'è noto, coinciso con la visita del presidente Napolitano a Washington e a New York. Le sue reazioni all'articolo sono state discutibili. E' vero, come ha sostenuto, che la notizia giornalistica si basa troppo sulle ombre piuttosto che sulle luci. Però è riduttivo sostenere che l'articolo fosse squilibrato e contenesse idiozie.

Detto questo, è più che giustificato che un presidente in visita ufficiale prenda le difese del proprio paese. E Napolitano non l'ha fatto con la stizza e suscettibilità dell'offeso che sta sulla difensiva, ma col piglio, la competenza e lo stile di chi ha qualcosa da sostenere.

Ha citato Keynes ("spiriti animali"), Hemingway ("addio alle armi") ha comparato il sistema repubblicano francese ed italiano con un parallelo interessante fra 'rivoluzione' e 'evoluzione.' Come mi ha detto un collega l'altro giorno: "ci metterei la firma a ragionare in quel modo nella mia seconda o terza lingua ad 82 anni".

Il problemi dell'Italia rimangono, così come il rammarico che quel collega non possa incontrare un presidente meno vicino all'età pensionabile. Però ascoltare Napolitano in inglese (qui il video del suo incontro al Council on Foreign Relations) è oggettivamente un piacere.

Friday 14 December 2007

Un piccolo passo per l'uomo...

Fra pochi giorni, il New Jersey diventerà il primo stato americano a revocare la pena di morte.

Wednesday 12 December 2007

3 fatti e 3 commenti

I fatti. Russia Unita, il partito di Vladimir Putin ha stravinto le elezioni parlamentari 10 giorni fa. Ampiamente prevedibile, anche se con punte di ridicolo francamente evitabili (in Cecenia i votanti sono stati circa il 99,5%, di cui circa il 99,5% hanno votato per Putin). E' poi dell'altro ieri la notizia che Dmitry Medvedev, vice premier e presidente del Cda di Gazprom, sarà candidato alla presidenza in Marzo con il beneplacido di Putin. Infine, ieri, la dichiarazione dello stesso Medvedev, che chiederà a Putin di fare il Primo Ministro.

I commenti.
1) fra elezioni farsa e parodie di endorsements, la Russia è sempre più un'oligarchia.

2) Se Putin tornerà al posto da lui già occupato nel 1999, la Russia si trasformerà in uno stato semi-presidenziale se non parlamentare. Una costituzione si può cambiare, quello non è il punto. Il punto è che il potere segue Putin.

3) La candidatura di Medvedev è potenzialmente una notizia discreta. Non perchè lui si dichiari un liberale e un pragmatico: Medvedev è un fedelissimo di Putin da 17 anni (e non potrebbe essere altrimenti). E, quel che è peggio, ha le dita sui bottoni di quella Gazprom che negli ultimi anni si è resa protagonista di tagli arbitrari nelle forniture di gas, nonchè di accordi discutibili con diversi paesi europei.

E' una discreta notizia perchè Medvedev non ha (a differenza di Putin) nessun passato nei servizi segreti e si era già speso dalla fine degli anni '80 (a differenza di Putin) a promuovere la perestroika a San Pietroburgo al fianco di Sobchak. Qualcosa fa sperare che la perestroika gli sia rimasta nelle vene. Quest'anno, in un intervista, ha rifiutato di sottoscrivere la definizione di 'democrazia sovrana' tanto cara agli apparatchik del Cremlino, sostenendo che: "questo termine non mi piace. Sottolineare solo uno degli aspetti della democrazia, ed in particolare la supremazia delle autorita statali, è eccessivo e perfino deleterio".

Tuesday 11 December 2007

Mare Nostrum?

Gheddafi è passato nel giro di pochi anni dall'essere il 'cane pazzo' (copyright Ronald Reagan) della comunita' internazionale, a pagarsi (con 15 miliardi di Euro in contratti) un invito nel salotto buono di Parigi e perfino il lusso di smentire Sarkozy riguardo ad una presunta discussione sui diritti umani in Libia.

Stamattina, poi, nuova strage ad Algeri, nella quale--se ne discuteva alacremente oggi con l'ambasciatore algerino qui a Washington--la religione c'entra e come.

Un giorno come tanti nel Mediterraneo, che ricorda dolorosamente quanto ancora distino i nostri vicini meridionali dal miraggio di quel Mare Nostrum di cui in Europa ancora si divaga.

Wednesday 5 December 2007

Saggezza a stelle e strisce

Tre perle dell'ultima settimana:

1) Il candidato repubblicano alla presidenza Mike Huckabee sta scompigliando tutti i sondaggi grazie all'endorsement di quel talento cinematografico che è Chuck Norris. L'allucinante pubblicità che manda in questi giorni nelle case dell'Iowa recita più o meno così: "Il mio programma per proteggere i confini? Due parole: Chuck Norris"

2) In un rapporto pubblicato ieri, l'agenzia d'intelligence americana sostiene che l'Iran ha interrotto il suo programma nucleare dal 2003. Nella conferenza stampa di oggi, Bush dichiara che il rapporto è un "segnale d'allarme".

3) Una delle audizioni pubbliche al Congresso degli Stati Uniti in programma per la settimana prossima ha l'allettante titolo: "La tortura: funziona?"

God bless America, come sempre.

Wednesday 28 November 2007

A (come Annapolis) Day

Si è appena conclusa, a pochi chilometri da qui (Annapolis), la conferenza internazionale sulla pace in Medio oriente. Per l'osservatore casuale di affari esteri, il risultato è piuttosto scontato ma non trascurabile: palestinesi e israeliani hanno fondamentalmente concordato di non essere d'accordo.

Per una volta, però, sembra essere più una questione di tempi che di modi. O meglio: si sa esattamente, e almeno dal 2000, ciò su cui si deve negoziare (rifugiati, status di Gerusalemme, riconoscimento dello stato di Israele, occupazioni israeliane in Cisgiordania etc.). Non mi pare sia ancora chiaro quando farlo.

Oggi, israeliani e palestinesti si sono impegnati a chiudere il confronto entro il 2008. Ma i rappresentanti delle tre parti in causa (Olmert, Abbas e Bush) sono politicamente uno più debole dell'altro e prima di impegnarsi in grandi proclami per la pace dovranno fare i conti con il dissenso interno. Staremo a vedere.

PS: Sbirciando la lista dei partecipanti alla conferenza, non può passare inosservata la solita inutile sfilza di europei. Per la precisione, 12 paesi, + Commissione, Consiglio europeo e Solana. Per la politica estera comune, evidentemente, c'è ancora molto tempo.

Friday 23 November 2007

Il cellulare di D'Alema

Giorni fa, alcuni quotidiani e agenzie l'avevano presentata come una macchietta. D'Alema che parla al cellulare durante la foto di gruppo del vertice italo-tedesco, la Merkel che lo riprende ("Sei peggio di Sarkozy"), e lui che le risponde ("È Kouchner (ministro degli esteri francese, ndr), se vuoi te lo passo").

Ora: che gli italiani abbiano un rapporto simbiotico coi cellulari è uno stereotipo abbastanza popolare all'estero. E che D'Alema non dia l'impresione di essere un campione di simpatia è putroppo per lui un altro stereotipo. Vorrei, però, dare a Massimo quel che è di Massimo.

Tiro a indovinare, ma il motivo più probabile per il quale dovesse urgentemente rispondere alla telefonata di Kouchner è la crisi libanese. Oggi scade infatti il mandato del presidente, il maronita Lahoud. I due campi contrapposti in questo ennesimo, triste scontro mediorientale--quello governativo filo-occidentale, prevalentemente sunnita da un lato e quello cristiano e sciita dall'altro--non hanno raggiunto un accordo e non si ha la più pallida idea di chi lo succederà e di che succederà.

Considerando l'influenza che i teatrini della politica italiana hanno avuto, in tempi più o meno recenti, sulla nostra politica estera (memento Turigliatto, Rossi etc.) l'attivismo italiano in Medio Oriente è a mio parere più che apprezzabile. Per quanto riguarda il Libano, l'Italia ha avuto un ruolo importante nella mini-guerra fra Hezbollah ed Israele dell'estate del 2006 e fa parte della troika informale di euro-mediterranei (insieme a Spagna e, appunto, Francia) che tenta di mediare la crisi di queste settimane. E poi il conflitto israelo-palestinese, la Turchia, l'Onu e la moratoria sulla pena di morte, l'Italia sta ritagliandosi uno spazio importante con delle posizioni, nei limiti del possibile, di buon senso.

Se questo attivismo sia sufficente a limitare i danni in Medio Oriente è un discorso sul quale, purtroppo, rimango scettico. Mi domando però, se in questa fase piuttosto deprimente della politica nazionale, gli affari esteri non possano tornare ad avere quel ruolo di collante che hanno giocato (nella forma se non nella sostanza) fino all'11 settembre 2001.

Collante non nel senso bipartisan-menefreghista del termine ("siamo tutti europeisti, internazionalisti, atlantisti"), né in quello arcano, e per l'Italia anche un po' profano, dell''interesse nazionale'. Ma in quello, più alto e pragmatico allo stesso tempo, di dare al nostro paese un valore ed un ruolo concreto e proporzionato al nostro peso economico e politico.

Friday 16 November 2007

Non c'hanno più visto

È di oggi la notizia che gli osservatori dell'OSCE rinunceranno a monitorare le elezioni parlamentari in Russia del 2 dicembre. Motivo apparente: le lungaggini delle autorità russe nel rilasciare i visti.

Che le prossime elezioni in Russia--queste, più quelle presidenziali di marzo--saranno una farsa si sapeva da tempo (altro che primarie del Pd). E la presenza di osservatori stranieri era già stata pesantemente decurtata da oltre 400 nelle precedenti consultazioni a circa 70 questa volta. Ma che neanche a questa sparuta armata Brancaleone sia dato il permesso di entrare a causa del visto è davvero comica se non fosse tragica.

Ne ho parlato in un intervista in Russia Profile di questo mese. L'Europa continua a parlare alla Russia col registro sbagliato: spera di 'europeizzarla' col risultato di affliggersi umiliazioni sempre più pesanti. Bisognerà imparare ad essere un po' più pragmatici, a parole se non a fatti (il gas, purtroppo, ci serve sempre). Merkel e Sarkozy sembrano averlo capito. Aspettiamo tempi migliori.

Wednesday 14 November 2007

Baciamo le mani

Forse ispirato dagli ultimi arresti mafiosi, mi sono imposto la visione del Padrino di Coppola (3 film x 3 ore l'uno, in un weekend morto gli si fa). Tralascio lodi ai primi due film e cercherò di sorvolare sul terzo che, oltre al plot un po' forzato su P2, Vaticano e Roberto Calvi, soffre della recitazione strappalacrime (di dolore dello spettatore) di Sofia Coppola nei panni della figghia di Don Corleone.

Una delle cose che mi hanno colpito di più, questa volta, è la raffigurazione della realtà italo-americana. Multiforme e mutevole, e certamente mutata rispetto agli anni a cui il film fa riferimento. Ma non troppo diversa nei valori e costumi da quella, per esempio, raffigurata nei Sopranos, che è ambientato ai giorni nostri (a proposito, lo danno in Italia?).

Dopo qualche mese a zonzo per la East Coast mi sono effettivamente reso conto che la realtà dei film non è poi troppo stereotipata. Non mi riferisco qui ovviamente ai cittadini italiani che volente o nolente, hanno deciso di abitare qui, nè allo stereotipo della criminalità organizzata. Mi riferisco a quella comunità, numerosa, di cittadini americani che si è radicata in delle tradizioni ed abitudini italiane che in Italia non esistono quasi più.

Incidentalmente la cosa mi fa pensare agli immigrati in Europa. Fenomeno diverso, parallelo forzato, mi si dirà. Ma poi penso ai (3,7 milioni di) turchi che vivono in Germania e ai miei amici di Istanbul o Ankara. Penso ai rumeni in Italia e ai miei amici di Bucharest o Sibiu. E penso a tutti quei tedeschi ed italiani che oggi sputano sentenze inappellabili su Turchia e Romania.

Cronaca alla mano, non posso biasimarli. Ma credo ci sia una tendenza a sottostimare quanto l'immigrazione influenzi la percezione di un determinato paese.

Tuesday 6 November 2007

Dell'allargamento/2

La severità del rapporto pubblicato oggi dalla Commissione Europea sui futuri allargamenti dell'Ue (Turchia e Balcani) è più che giustificata. I quotidiani che hanno riportato stralci del mio corsivo piuttosto duro di ieri sembrerebbero confermarlo.

Allo stesso tempo, sarebbe ingiusto ignorare un senso di rinnovata modestia e realismo da parte delle istituzioni europee riguardo alle future espansioni dell'Ue. Ne ha ben scritto Andrea Bonanni sul blog di Repubblica: l'ottimismo degli anni passati era esagerato, così come lo sono le espulsioni, i rimpatri e i mea culpa collettivi di oggi.

L'errore che si è fatto a suo tempo nel caso della Romania non è stato politico. È stata fondamentalmente una mancanza di buon senso. A Romania e Bulgaria è stato promesso l'ingresso nell'Ue al più tardi nel 2008, no matter what. È come se ad uno scolaro di quarta elementare si offrisse la promozione immediata alle medie: la stragrande maggioranza degli scolari si adagerebbe su questa certezza. E così è successo a Romania e Bulgaria. Da quando hanno ricevuto la garanzia del loro ingresso nell'Ue, le riforme giudiziarie e dell'amministrazione pubblica si sono praticamente bloccate.

Da qui a dire che i recenti fatti di cronaca nera siano colpa dell'Ue ce ne vuole. Ma ben venga il realismo della Commissione e ben venga l'opera di informazione e demistificazione dei media su processi che appaiono terribilmente tecnici ed astratti ma che in alcuni casi sono piuttosto logici.

Monday 5 November 2007

Dell'allargamento/1

Venerdì scorso ho moderato un dibattito qui a Washington sull'allargamento dell'Ue. Relatore principale, il Direttore Generale della Commissione Europea Michael Leigh.

Si sarebbe potuto parlare di Turchia e PKK, di Serbia e Kosovo, delle dimissioni del premier bosniaco, che ha lasciato perchè la comunità internazionale lo fa sentire un po' Bart Simpson.

E tutto sommato se ne è anche parlato, ma la presenza di telecamere e taccuini all'incontro ha inevitabilmente irrigidito il dibattito.

A me in particolare stava a cuore sollevare la questione turca, che di settimana in settimana sembra essere in un vicolo sempre più cieco. Per questo ho preso carta e pc e ne ho scritto in un corsivo per EU Observer stamattina.

[Comment] Laying low on Turkey

05.11.2007 - 09:22 CET By Fabrizio Tassinari

EUOBSERVER / COMMENT - If further evidence were needed, the second progress report on Turkey's bid for European Union membership, to be released on 6 November by the European Commission, will confirm that Ankara is up for a bumpy and long ride.

Brussels' harsh remarks on Turkey's record of political reforms over the last year are admittedly warranted. And given the dramatic events that have taken place in the past months - the assassination of the Turkish-Armenian journalist Hrant Dink, the Army's 'e-coup' in April and the deterioration of the security situation in the Kurdish Southeast -such criticisms are hardly surprising.

What continues to be baffling is the EU's constant emphasis on the historic, unprecedented and unique character of its enlargement towards Turkey.

That Turkey constitutes a very special case in the EU enlargement history should be apparent even to the casual observer of international affairs. And so is Turkey's crucial importance for the prospects of democracy in the Arab-Muslim world, for EU's fledgling foreign policy and even for the fortunes of the Union as a political and economic entity.

European uneasiness with multiculturalism
Paradoxically, however, these are the very same items used by Ankara's many detractors to explain why Turkey's accession would spell the end of the EU.

The country's religious background, its volatile geopolitical environment, its vast size and rising population all make a perfect match with Europe's longstanding introspection and growing uneasiness with multiculturalism. And, in recent years, they have all played extremely well in the hands of Turkey-bashers in Europe.

To dispel these concerns, it would in principle suffice to recall the stipulations that Turkey and the EU agreed upon initiating accession negotiations in 2005.These state that 'negotiations are an open-ended process, the outcome of which cannot be guaranteed beforehand' and that 'long transitional periods, derogations, specific arrangements or permanent safeguard clauses' may have to be considered.

In plain English, this means that even if Turkey becomes a EU member, it may be prevented from ever integrating in the Union in certain sensitive sectors such as movement of people. If circumstances allowed a more serene and rational discussion on the matter, this would probably put to rest the rumours about 'privileged partnership' as a substitute to full membership, to which French President Nicolas Sarkozy has given a new lease of life.

But in the overheated political environment that characterises the debate on Turkey today, it is plainly not enough.

Advised to lay low
That is why, for the time being, supporters of Ankara's EU application would be well advised to lay low.Pro-EU leaders in Turkey and pro-Turkey leaders in Europe would be much better off if they avoided trumpeting the strategic and normative importance of Turkey's accession and focused on the substance of the Commission's work.

Even better, they would do Europe a huge favour if they dropped controversial references to the past, sidelined their inspired visions for the far future, and stuck to the serious challenges they face today.

This is not a tactical expedient: it is key to keep a minimum of credibility. The EU opened accession negotiations to make Turkey a member of the EU family, not an important friend (which it has already been for more than four decades).

Obsessive reminders about Turkey's make-or-break significance for Europe only testify to the EU's insecurity about the enlargement process and about itself. And in the end of the day, the European Commission evaluates a country's progress not its feasibility.

As the report confirms, the jury is going to be out on Ankara's progress for a fairly long time.But the verdict on Turkey's feasibility as a potential member state of the EU has been already reached.

Friday 2 November 2007

Ecchissenefrega?

Mi si chiederà, e mi si è chiesto, perchè continuo a scrivere prevalentemente di politica estera su questo blog (o perchè non ne scrivo in inglese).

Potrei dire che sono cose importanti, che sarebbe la verità più ovvia. Potrei dire che sono cose che mi interessano, che è anche la verità. Ma non posso ignorare che ne scrivo anche a causa del sostanziale disinteresse nel dibattito pubblico italiano su quello che accade 'out there'.

Mi si dirà ( e mi si è detto) che il provincialismo della nostra classe politica non è una novità. Che non è una novità che della Turchia si parli solo quando Calderoli ne spara una delle sue. Che non è una sorpresa che nell'avvenimento di più alto profilo dell'autunno politico italiano, le primarie del Pd, si sia parlato di politica estera solo per estendere la nostra solidarietà ai monaci birmani e per alimentare le beghe interne sul gruppo al Parlamento europeo che dovrebbe ospitare il nuovo partito.

Poi però avvengono fatti raccapriccianti come quello di Tor di Quinto a Roma, leggo del Palazzo che si scaglia indignato contro contro la Romania, contro l'Europa, e contro la Romania in Europa e mi convinco che scrivere di queste cose una sua utilità forse ce l'ha.

Friday 26 October 2007

Storia del presente

Ho finito di leggere History of the Present, un appassionante saggio sull'Europa di uno dei miei scrittori preferiti, lo storico inglese Timothy Garton Ash.

Il libro ripercorre la cronaca della politica continentale negli anni '90, dalla caduta del Muro a Maastricht, dalla guerra nell'ex-Yugoslavia all'Euro. E nell'intrecciare la complessa sequenza di quegli eventi, alterna telegrafici bollettini a brevi saggi, scritti nella maggior parte dei casi dalla trincea, che sia questa Danzica, Berlino o Pristina.

Il mio viaggio di questa settimana ha in un certo modo amplificato l'impatto di questa lettura e mi ha fatto assaporare un vaghissimo senso di dejà vu.

Sono arrivato a Bruxelles mentre i ministri dell'Ue apponevano la loro agognata firma sul trattato di riforma dell'Unione--un processo che ha virtualmente paralizzato l'Europa negli ultimi due anni. Sono passato ad Odessa, nell'Ucraina sud-occidentale, mentre russi ed europei si incontrano e continuano a scontrarsi su praticamente tutto ciò che ha a che fare con la sicurezza europea, inclusa l'Ucraina. Mi sono poi spostato ad Istanbul, meteorologicamente umida e politicamente caldissima dopo il voto del Parlamento turco ad autorizzare incursioni dell'esercito nell'Iraq settentrionale.

Mi auguro ovviamente che il libriccino che ho in preparazione tragga da questi eventi un briciolo dell'ispirazione illuminata di Storia del presente. Allo stesso tempo, mi domando fino a che punto sia possibile osservare, valutare o perfino scrivere di eventi che appartengono alla cronaca col piglio determinista dello storico ("E' successo perchè doveva succedere").

Nel caso di Ash, devo dire che i risultati sono di una preveggenza impressionante.

Sunday 21 October 2007

La prima tragica scalinata

L'aeroporto di Bruxelles alle 8 di mattina non è il massimo, specialmente dopo un escursione termica di circa 15 gradi con Washington. Ma l'adrenalina rimane alta: fra poche ore sarò ad Odessa in Ucraina dove spero di poter finalmente apprezzare dal vivo uno dei riferimenti cult della cinematografia mondiale.

Ovviamente non mi riferisco ad Ejzenstejn ed alla Corazzata Potemkin, ma al mitico.

Wednesday 17 October 2007

L'itinerario

Da domani e per i prossimi dieci giorni mi aspetta un tour europeo atipico e piuttosto estenuante: Bruxelles, Odessa, Istanbul, Danzica, Copenaghen e nuovamente Bruxelles.

Chi si trovi da quelle parti per lavoro o per diporto, batta pure un colpo qui. Io, se sopravvivo, farò lo stesso.

Friday 12 October 2007

ULIVO e ULIBO are no more

È una sensazione un po' agrodolce che la Scuola del Partito Democratico (ULIBO) abbia deciso di chiudere i battenti dopo poco più di un anno dalla sua fondazione.

Ho fatto parte, con piacere, del corpo docente e devo dire che in quel paio di occasioni che ho avuto l'opportunità di passare da Bologna ho avuto modo di apprezzare un ambiente ambizioso e dinamico. Soprattutto, credo di aver visto la rarità un ambiente politico de-politicizzato, ovvero decongestionato dal contingente, curioso e generoso intellettualmente.

Mi rendo però anche conto che per un'iniziativa di questo tipo, il contingente, di cui la più ovvia manifestazione sono le primarie di domenica, non poteva non influire. O meglio, mi domando se questo sia effettivamente il caso, ed è ciò che motiva la senzazione agrodolce. Ma rimango fondamentalmente convinto che ULIBO sia stata un esperimento riuscito e di grande valore sociale e culturale.

Ad ULIBO ho parlato soprattutto di Europa e credo di aver tentato una difesa del 'pensiero debole' europeo. Non so se abbia avuto successo ma mi auguro che, se non ora nel medio termine, il PD possa allo stesso modo confermare le ambizioni post-ideologiche sulle quali è stato concepito.

Per questo, alle primarie di domenica, ribadisco il mio sostegno a Mario e in particolare a Marco, che si candida in quella che, una dozzina di anni fa, era zona mia.

Monday 8 October 2007

Pubblicità progresso

Il Washington Post ha pubblicato negli ultimi tempi alcune pubblicità discutibili, ricevuto proteste dei lettori e Deborah Howell - l'Ombudsman del giornale - ha ritenuto opportuno intervenire.

Sui casi specifici, alcune proteste sono abbastanza scontate: pubblicità violenta o al limite della decenza nella parte del giornale dedicata ai bambini. Altre, dal mio punto di vista, più interessanti e riguardano per esempio la pubblicità della General Motors, che cita stralci di articoli dello stesso Post per dare credibilità alle sue campagne di protezione ambientale. (Manovra oggettivamente sospetta, in un periodo come questo nel quale si dibatte acremente di cambiamento climatico e del futuro 'post-Kyoto'). In entrambi i casi, l'Ombudsman ha rassicurato i lettori e ammonito il giornale, con un corsivo diciamo così 'di servizio' pubblicato nell'edizione domenicale.

Non credo mi sia capitato di leggere articoli del genere sui quotidiani italiani. E mi domando se, aldilà dell'authority, codici di autoregolamentazione etc, la procedura esista. Da lettore, la cosa mi sembra più che apprezzabile.

Wednesday 3 October 2007

Note sparse sulla politica giovane

La costituzione vieta a Vladimir Putin (55 anni) di ricandidarsi alla presidenza russa ma nessuno ha mai creduto che Putin si sarebbe ritirato così giovane. Puntualmente lunedì ha indicato che nel 2008 si potrebbe candidare al posto di primo ministro (da lui già occupato nel '99). Il che vorrebbe dire che il nuovo presidente russo (chiunque sia) diventerà poco più influente della regina d'Inghilterra.

A proposito di Gran Bretagna, continuano a scorrere fiumi d'inchiostro sul dopo-Brown. Ipotesi non del domani ma forse del dopodomani, e utile per dare uno sguardo all'anagrafe della politica inglese, nella quale i Cameron (41 anni) o i Miliband (42) non sono neanche tanto enfants prodiges.

Nel frattempo, Yulia Tymoshenko (46 anni) ha fatto faville nelle elezioni in Ucraina domenica scorsa. È possibile che la Pasionaria possa essere nominata primo ministro. Purtroppo, però, quel paese disgraziato continua a rimanere in bilico e la Russia ha già minacciato di tagliare nuovamente il gas.

Per quanto mi riguarda, mi sono confrontato e confortato giorni fa col sindaco di Washington, l'iperattivo Adrian Fenty: 37 anni, democratico e di origini italiane (anzi, Frosinoooun, come dice lui). Per me una rivelazione. Che sia di buon auspicio per il candidato suo coetaneo in Italia.

Infine, domani sarò a Houston, Texas per partecipare ad un dibattito del Young Leaders Program promosso dal Consiglio per le Relazioni fra Italia e Stati Uniti. Temi: energia e ambiente. Non potrebbe essere più appropriato, in Bush-country.

Sunday 30 September 2007

La negazione e il complotto

Il mio padrone di casa qui a Washington (un europeo) mi ha detto che uno dei fattori per i quali ha deciso di affittarmi casa è che, in quanto europeo, sono sicuramente pro-palestinese. Gli ho risposto che in realtà non lo sono, che non sono anti-israeliano e che sono soprattutto piuttosto allergico a dicotomie di questo tipo.

E non l'ho detto all'indomani della visita contestatissima del negazionista Ahmadinejad. L'ho detto perchè oggettivamente in America la questione è talmente delicata che o si prende una posizione netta e possibilmente documentata, oppure è meglio cambiare discorso.

Qui non farò né l'uno né l'altro (se si ha una mezz'ora, però, ne ho scritto qui). Mi limito a constatare il polverone causato da un articolo (diventato libro il mese scorso) di John Mearsheimer e Stephen Walt, politologi a Chicago ed Harvard rispettivamente.

The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy spiega di come ed in che misura gli ebrei americani influenzino la politica estera degli Stati Uniti. È una tesi vecchia quanto il mondo, ma date un'occhiata alla quantità, e soprattutto al tono, delle critiche piovute sugli autori.

Thursday 27 September 2007

Abbiamo fatto 30...

Nel giorno del mio "round birthday" (ieri), la Johns Hopkins mi ha (involontariamente, credo) regalato un pranzo con il Commissario dell'Ue Olli Rehn. Sull'allargamento dell'Ue non ha detto niente di nuovo. La Serbia andrà probabilmente avanti nel suo cammino europeo anche se non ha ancora provveduto ad arrestare quei macellai di Mladic e Karadzic, e secondo me è un'occasione persa. E quanto all'adesione della Turchia, mi pare che il motto segreto della Commissione sia "che Dio ce la mandi buona" (con "Sarkozy" intercambiabile col soggetto).

A proposito dell'Onnipotente (che non è Sarkozy), ho proposto a Rehn il seguente paradosso: l'Islam è un fattore apparentemente determinante sia per quelli a favore dell'adesione di Ankara (la Turchia come modello di democrazia nel Medio Oriente, etc.) sia per quelli contro (Europa cristiana etc.). Non sarebbe vantaggioso per la Commissione (istituzione notorariamente pro-Turchia) stemperare il dibattito sulla religione e limitarsi a parlare solo delle questioni che le competono ovvero quelle politiche, economiche e legislative? Rehn o non ha abboccato, o non ha capito.

Completamente off-topic, non potevo spendere il mio compleanno senza un pensierino alla cara madrepatria lontana. In merito, il mio amico Gino Rocca ha scritto un post fra l'onirico, il surreale e il fantapolitico davvero niente male.

Tuesday 25 September 2007

In attesa

In attesa del discorso di Ahmadinejad a New York (oggi), della visita del Commissario Ue per l'allargamento Olli Rehn qui da noi a Johns Hopkins (domani) e del mio compleanno (pure domani), EUObserver ha pubblicato un mio corsivo sull'Ucraina, paese bistrattato e sempre in bilico che domenica andrà (nuovamente) alle elezioni.

[Comment] The EU's invisible helping hand in Ukraine
25.09.2007 - 09:26 CET By Fabrizio Tassinari EUOBSERVER / COMMENT -

It has long been argued that Ukraine is a country at the crossroads. Over the past three years, a rollercoaster of internal developments, Russia's increasing assertiveness and, most importantly, the EU's continued ambivalence have arguably made this assessment justified.

Over the past year, however, Brussels' position on Ukraine has achieved a reasonable, if understated, level of consistency. As Ukraine approaches crucial polls on 30 September, it may then be useful to spell out what Ukrainians can realistically expect from it.

Many in Kiev rightly feel that the EU owes it to Ukraine. The EU's Neighbourhood Policy was originally conceived for Europe's Eastern flank and seemed an enticing offer. But by the time it came to being in 2004, the Policy had expanded to include the Mediterranean basin, thus considerably watering down its strategic significance for Ukraine. After the Orange Revolution spectacularly toppled the powerful, Russia-friendly elite in 2005, Brussels response was also somewhat bland. Then came the failed referenda on the EU Constitution in France and the Netherlands, and the subsequent inward-looking mood in Europe, which further hampered Ukraine's aspirations.

Surely, with a shaky constitutional balance, an opaque system of economic governance, and the old establishment partly back in power, Ukraine's domestic situation remains highly volatile. Moreover, Russia's influence on the country is cultural and societal as much as it is political and economic, a factor that has to be reckoned with regardless of the level of EU support. Even so, Ukraine is a far more pluralistic country than most post-Soviet states. It has -at least in its Western part - a consistently pro-European population, and is placed in a strategically crucial position: all of which has warranted a more substantial stand from the EU.

Starting with economic integration
Economic integration is an obvious place to start. The EU - Ukraine's first trading partner - has put forward the idea of a 'deep' free trade agreement. In Eurospeak, this implies that Ukraine will gradually adopt the EU economic standards and regulatory norms. It remains to be seen to what extent the Ukrainian leadership will be able to implement costly and complicated EU-styled reforms. But this is in itself a largely welcome proposal, because it will set concrete benchmarks to anchor Ukraine to the EU's internal market.

Connected to this is Ukraine's role in the EU's fledgling common energy policy. The infamous row between Ukraine and Russia over gas supplies in early 2006 made Ukraine's position as a key transit country only more apparent. Ukraine will be encouraged to integrate its energy market, particularly gas and electricity, to the European one. This is precisely what the Energy Community Treaty between the EU and the Western Balkans is for, and should be extended to Ukraine.

The movement of people is just as crucial to foster exchanges and a sense of inclusion. On 18 June, the EU and Ukraine signed a deal on visa facilitation and, crucially, readmission (which means that Kiev agrees to take back illegal migrants entering the EU from Ukraine, even if these are not Ukrainian nationals). Admittedly, the new system will make a tangible difference only for certain groups of people (like students, journalists and businessmen) and, judging by the difficulties of the current regime, is bound to present serious challenges of implementation. Yet, given the levels of border control in Ukraine and the sensitivities on this matter inside the EU, Kiev cannot realistically aspire for more for the time being.

Foreign policy
The EU also suggests that Ukraine aligns its position to EU foreign policy declarations and enhances its participation in crisis management operations carried out under the EU flag. The outlook here is quite promising: Ukraine already subscribes to the vast majority of EU declarations and has contributed substantially to some EU operations, most notably in Transdniestria, Moldova's breakaway statelet, which Ukraine borders.

Moreover, after enlarging to Bulgaria and Romania in 2007, the EU has become a fully-fledged actor in the Black Sea and has launched a regional ‘Synergy'. Ukraine is a heavyweight here, not only as one of the largest littoral countries, but also as the promoter of a number of regional initiatives. Brussels' strategy in this context should be aimed at bringing its Black Sea Synergy closer to Ukraine's foreign policy priorities, particularly in the field of democracy promotion at the regional level. Not incidentally, the first ministerial meeting of the new Synergy will take place in Kiev next January.

EU membership prospects
Lastly, there is the elusive question of Ukraine's EU membership aspirations. Last March, the EU and Ukraine opened negotiations on a new 'Enhanced Agreement' which will bind legally many of the issues mentioned above. The new agreement will not answer the membership question and, given the continuing introspection inside the EU over enlargement, Ukraine might as well refrain from asking it.

At the same time, the items characterising Brussels' Ukraine agenda are geared to tie Ukraine firmly to Europe. They may not make the EU position visible or particularly bold. But depending also on the conduct and the outcome of next week's election, they could in due course do the next best thing: make the membership question an elephant in the room.

The author is currently a Visiting Scholar at the Center for Transatlantic Relations at SAIS, Johns Hopkins University in Washington, DC.

Saturday 22 September 2007

Stato-sine-nazione vendesi

Tornato da Bruxelles, dove il 'talk of the town' è questa storia che il Belgio si dovrebbe/potrebbe dividere.

L'Economist ci ha scritto un editoriale piuttosto duro, sostenendo che anche gli stati, qualche volta, fanno il loro corso. I giornalisti belgi sono stati altrettanto duri ma meno corretti politicamente ed hanno provato a mettere il Belgio in vendita su EBay.

La questione è fondamentalmente che, a tre mesi dalle elezioni politiche, non si riesce a formare un governo. Dalle nostre parti non sarebbe una tragedia, se non fosse che i partiti belgi non si accordano perchè sono divisi su linee linguistiche--valloni vs fiamminghi--piuttosto che programmatiche.

Non sono sicuro che in questa vicenda ci sia un dato politico da trarre. Sicuramente, però, quando vedi persone dello stesso paese parlare fra di loro in inglese ti rendi conto che qualcosa non va.

Sunday 16 September 2007

Let's talk welfare

Ho scritto giorni fa che gli italiani all'estero non sono "specie protetta" ma una risorsa che potrebbe e dovrebbe contribuire al dibattito nel nostro Paese con un bagaglio di esperienze e conoscenze largamente sottostimato. Provo razzolare un po' sul predicato parlando di welfare.

Personalmente ho avuto l'opportunità di vedere da vicino due realtà teoricamente agli antipodi per quanto riguarda il modello di stato sociale che propongono: gli Stati Uniti e la Danimarca.

Ho sentito diverse persone parlare molto positivamente--udite, udite--della sanità americana: servizi all'avanguardia, professionalità impeccabili ecc. Ma i limiti di questo sistema sono ultranoti e non è necessario andarsi a vedere Sicko di Michael Moore per capirli. Un sistema nel quale un cittadino su 7, 47 milioni di persone, non è coperto da assicurazione sanitaria è strutturamente predisposto a squilibri enormi.

Più controverso è criticare il modello scandinavo. Un sistema nel quale, per esempio, i sussidi di disoccupazione raggiungono l'85% dello stipendio e vengono erogati fino a 4 anni dopo il licenziamento farebbe sentire qualsiasi residente straniero come Alice nel paese delle meraviglie. E diverse voci autorevoli (vedi per esempio qui e qui) si sono spese sull'opportunità di importare nel nostro Paese alcuni elementi di questo modello, fra gli altri la cosiddetta 'flexicurity'.

La realtà però è più complessa. Un sistema dinamico e oggettivamente generoso come quello danese, per esempio, fatica enormemente a gestire ed integrare i flussi migratori, ha prodotto la legislazione sull’immigrazione più rigida d'Europa e profonde fratture all’interno delle realtà locali.

Ora: è facile dire che un modello di welfare sostenibile ed equo debba coniugare solidarietà e competitività, diritti del cittadino e pragmatismo, trasparenza ed efficienza. È più difficile trovare risposte adattabili ad una realtà frammentaria come quella italiana. Per questo non è superfluo discutere del funzionamento concreto, quotidiano del welfare in altri paesi europei.

E sulla base delle esperienze di riforme in altri paesi europei, non è superfluo porre, in modo costante, martellante, la madre di tutte le domande: nell'Italia gerontocratica di cui parla Mario Adinolfi, a chi giova parlare di welfare? Per la nostra generazione, è una domanda tutt'altro che retorica.

Wednesday 12 September 2007

Punti di vista

L'11 settembre ho assistito ad un dibattito, qui alla Johns Hopkins, sulla promozione della democrazia nel Nord Africa e Medio Oriente. Fra i relatori, un’attivista tunisina che con invidiabile dignità raccontava la cronaca classica di una dittatura mascherata da oligarchia, con tutto il contorno di arresti arbitrari, passaporti ritirati, censura e così via.

Dal pubblico, che evidentemente includeva un gruppo abbastanza numeroso di sostenitori del presidente tunisino, prende la parola una donna di mezza età. Anzi, interrompe, e comincia a bombardare l’attivista di domande vagamente retoriche: ”Hanno mai attentato alla sua vita? Hanno mai minacciato la sua famiglia? È stata mai torturata? E allora, signora, non mi venga a dire che vive in una dittatura.”

Monday 10 September 2007

Un mare nero

Il Comitato delle Regioni dell'Ue mi ha chiesto di dare una testimonianza, martedì prossimo a Bruxelles, sulla nuova strategia per la regione del Mar Nero adottata dalla Commissione in primavera.

Mi sa che per una volta mi risparmierò facili ironie sui processi decisionali dell'Ue: una strategia europea per quella parte del mondo è a dir poco urgente. Centinaia di migliaia di migranti (alcune fonti parlano di 7 milioni) attraversano quell'area ogni anno, ovviamente da est verso ovest. E con l'Afghanistan tornato ad essere un' immensa piantagione di papaveri, si calcola che il Mar Nero sia crocevia di qualcosa come sei mila tonnellate di oppio e 500 di eroina.

Per intaccare questa realtà, l'Europa dovrebbe cominciare con l'essere molto più chiara ed esplicita nei suoi rapporti bilaterali con paesi chiave come la Turchia, l'Ucraina o la Russia. È un dato però che una delle cose che l'Europa ha fatto bene negli ultimi 5o anni è l'integrazione regionale e incoraggiare la cooperazione fra gli stati di quell'area ha delle enormi potenzialità inespresse.

Quali? Queste, se si ha una mezz'ora per leggerle.

Sunday 9 September 2007

Eppur non si muove

Nel momento in cui scrivo, il comitato dei garanti dell'Ulivo non ha ancora pubblicato nè moduli per la raccolta firme nè 'regolamento attuativo' delle primarie del Pd per gli italiani all'estero. Il tutto doveva essere 'telematico', sarà--stando a quanto è emerso finora--cartaceo. Capolinea a Roma (posta, aereo, FedEx.. choose your poison) domenica 23 settembre.

Le conclusioni può trarle chi legge, io ci metto il titolo.

Wednesday 5 September 2007

Quando i conti devono tornare

L'autunno politico qui in America è cominciato col botto. Ovvero, con la visita a sorpresa del Presidente Bush lunedì scorso in Iraq. È la terza volta che Bush vola in Iraq dall'inizio della guerra nel 2003 e la tempistica non è casuale.

Settimana prossima i massimi rappresentanti militari e civili americani in quel paese disgraziato faranno rapporto al Congresso sulla situazione. È molto probabile che, subito dopo gli accenni di rito alla realtà difficile, complessa ecc, parleranno di visibili miglioramenti e tesseranno le lodi della cosidetta "surge", l'aumento di 30 mila truppe deciso da Bush quest'anno.

In questo contesto si inserisce la visita di Bush e il via vai incessante di politici, diplomatici ed analisti in Mesopotamia. Tutti, di questi tempi, tornano invariabilmente folgorati sulla via di Baghdad e parlano di miglioramenti e della necessità di mantenere le truppe.

Niente da eccepire, se non fosse che questi eminenti visitatori viaggiano in Iraq superscortati--Sen. McCain docet--e, se vanno nella capitale, raramente mettono piede fuori dalla "green zone" (sul tema, c'è anche un interessante articolo del Washington Post).

Fossi in loro, non mi azzarderei a fare diversamente, ma forse mi risparmierei corsivi su corsivi ad esaltare la lungimiranza del Comandante in Capo.

Monday 3 September 2007

La risorsa

A me questa storia dell'italiano residente all'estero come "specie protetta"--regole diverse, diritti particolari, RAI International oscurata o meno--non è mai piaciuta. Quello è l'italiano dell'On. Tremaglia, se tale figura effettivamente esiste (dai risultati delle politiche '06, direi di no).

Secondo me, chi ha scelto di vivere all'estero è e dovrebbe essere considerato come una risorsa per l'Italia. Non sono necessarie ricette o trattamenti particolari: solo l'opportunità di partecipare e contribuire con ciò che si è vissuto, imparato e visto.

Proprio per questo il messaggio di Mario ha una validità e risonanza per noi all'estero.

Fortunatamente, non sono solo io a pensarla così: sostenitori, candidati e comitati "Si Può Fare" ormai colorano le mappe del Nord America e dell'Europa e questa settimana cominceremo ad approntare le liste per l'estero.

Per chi fosse interessato, il mio indirizzo è sempre FT@ifs.ku.dk.

Tuesday 28 August 2007

Back to Europe

Giovedì parteciperò ad una conferenza sulle relazioni fra Europa e Stati uniti organizzata dall'Università di Dublino.

Ventotto ore non saranno sufficenti per apprezzare le meraviglie di Dublino né per capire i segreti di questa 'tigre celtica' (crescita media del pil intorno al 5-6% negli ultimi anni). Ma sono abbastanza per incontrare i nostri sostenitori alle primarie.

Monday 27 August 2007

Niente di nuovo sotto il sole

La Russia ha proposto un ex governatore della Banca centrale ceca alla direzione del Fondo Monetario Internazionale per opporre il candidato unico dell'Ue, Dominique Strauss-Kahn.

Da un certo punto di vista, la mossa di Mosca ha un suo perchè. La procedura che tradizionalmente porta alla scelta dei vertici delle istituzioni finanziarie internazionali è oggettivamente insostenibile. Non è accettabile che gli Stati Uniti continuino ad avere il diritto esclusivo di nominare i vertici della Banca mondiale (anche e soprattutto dopo lo scandalo Wolfowitz) e l'Europa abbia diritto su quello del Fmi.

Ma è difficile non intravedere in questa iniziativa l'ennesima mossa di una partita che da ormai quasi due anni oppone, su innumerevoli fronti, l'Europa e la Russia.

Riguardo a quest'ultima, io continuo a vederla così e così.

Wednesday 22 August 2007

La mela più grande

Dopo una breve tappa nel New Jersey, da domani la nostra campagna per le primarie del Partito democratico si sposta a New York. Per chi volesse incontrarci, l'email è FT@ifs.ku.dk.

Per quanto mi riguarda, comincerò con il pellegrinaggio alla United Nations Plaza.

Haleh Esfandiari è libera, pare

Le autorità iraniane hanno annunciato la liberazione di Haleh Esfandiari, un'analista del Woodrow Wilson International Center for Scholars, dopo centodieci giorni di prigionia.

Ho avuto modo di avvicinarmi a questo caso durante la mia collaborazione con il Wilson Center, una think-tank di Washington, quest'anno. Le motivazioni e la dinamica dell'arresto rimangono ancora piuttosto oscure e ad oggi non è ancora chiaro se la professoressa abbia effettivamente lasciato la famigerata prigione di Evin a Teheran e quando le sarà dato il permesso di lasciare il paese.

Ma a questo punto mi auguro vivamente di poter incontrare la dottoressa Esfandiari, libera, nel suo ufficio di Washington.

Tuesday 21 August 2007

Scontro di fondamentalismi?

E' di oggi la notizia che il Ministro degli Esteri turco Abdullah Gül ha mancato nuovamente il quorum per essere eletto Presidente della Repubblica, ma è probabile che siamo finalmente giunti all'epilogo di questa saga tutta bizantina che va ormai avanti dallo scorso aprile.

Almeno a prima vista, la querelle sembra avere i contorni di quello che l'intellettuale anglo-pachistano Tariq Ali chiama 'clash of fundamentalisms': da un lato i militari, garanti ultimi della laicità dello stato e dell'eredità repubblicana di Ataturk; dall'altro il partito di ispirazione islamica AK (che letteralmente sta per Giustizia e Sviluppo) del primo ministro Erdogan e dello stesso Gül. Era stato proprio il fallimento ad eleggere Gül presidente e le successive pressioni dei militari lo scorso maggio a portare la Turchia ad elezioni anticipate, stravinte - strameritatamente, aggiungo io - dal partito AK. Ora Gül si ripresenta, forte del 47% dei voti ottenuti nelle elezioni di luglio, ed è possibile che ce la faccia al terzo se non addirittura al secondo scrutinio.

La mia idea è quello che si sta verificando in Turchia ha poco a che fare col fondamentalismo o col velo che copre la testa della signora Gül - il pomo della discordia nel dibattito locale. Negli ultimi cinque anni, Erdogan ha ampiamente dimostrato di aver accantonato i suoi trascorsi islamici a favore di un riformismo pragmatico e determinato che non ha precedenti nella Turchia moderna e che ha portato il Paese ad ottenere la tanto agognata - quanto contestata - candidatura all'Unione europea. Il successo del partito AK sta lì a dimostrare che per mantenere la democrazia in Turchia non è (più) necessario il freno a mano dei militari e che progresso democratico ed Islam non sono due realtà antitetiche.

La candidatuta di Gül si inserisce in questo contesto ed è fondamentale che le ultime tappe di questa saga presidenziale si svolgano senza ulteriori ingerenze da parte dei generali. E' in gioco la credibilità e la stabilità di un paese che, ci piaccia o no, è sempre più vicino all'Europa.

Saturday 18 August 2007

Perchè sto con Mario

In teoria, le primarie del Partito democratico—quello italiano, tanto per essere chiari—sono un’innovazione interessante e per certi versi coraggiosa. Per come si sta svolgendo la campagna, però, queste elezioni rischiano di assomigliare ad un gran premio di Formula 1 corso tutto con la safety car davanti: si sa quali sono le squadre più forti, ma si sa anche chi arriverà primo, secondo e terzo.

Per come la vedo io, queste primarie non sono solo un esercizio più o meno utile di democrazia diretta, ma rappresentano un’opportunità. L’opportunità di riconciliare due anime che hanno da sempre definito, e troppo spesso logorato, la vita politica italiana. L’opportunità di influire sulle priorità e la direzione di quello che sarà il primo partito italiano. E l’opportunità di dare un significato più credibile ad una delle parole più abusate del vocabolario politico: 'pluralismo.'

Per questo ho deciso di sostenere la campagna di Mario Adinolfi a segretario nazionale del Pd.

Quella di Mario non è né una mobilitazione anti-establishment, né la battaglia di Davide contro Golia, né un manifesto di e per i 'giovani'. O meglio: la sua campagna—che ormai da diverse settimane non è fortunatamente più solo la sua—è forse tutto questo ma è anche e soprattutto una sfida determinata con un messaggio provocatorio quanto ineccepibile: contrastare quello che lui chiama il ‘genocidio politico generazionale.'

Come? Ridefinendo il sistema pensionistico il maniera più sostenibile; rilanciando gli investimenti per la ricerca; riformando il sistema creditizio, fra l'altro. Chi, come me, ha scelto di abitare in un altro paese europeo avrà forse avuto modo di apprezzare che questo tipo di riforme sono il minimo indispensabile per dare una speranza a questa Europa terrorizzata dalla globalizzazione.

E chi, come me, ha scelto di abitare in un altro paese europeo sa anche che l'Europa è sì Erasmus, Ryanair e passaporti sepolti nel cassetto, ma è anche molto molto di più, nel bene e nel male. E magari vuole contribuire, arricchire e restituire all'Italia ciò che ha visto, vissuto ed imparato.

Secondo me, è un'opportunità che non possiamo permetterci di sprecare. E neanche secondo Mario.

Thursday 16 August 2007

The Ground Truth

Eviterò, per ora, litanie sull'Iraq; ho l'impressione che, stando qui, alla fine mi uscirà dalle orecchie. Stasera, però, non posso non fare un riferimento in passim. Abbiamo infatti appena partecipato alla proiezione, piuttosto underground, di The Ground Truth, un film-documentario cum dibattito sui veterani della guerra in Iraq.

Che la cosa fosse underground non è un gioco di parole col titolo del film. La manifestazione è stata effettivamente organizzata da una specie di centro sociale nei locali di una comunità cristiana (in Europa sarebbe un paradosso, ma tant'è). Gli organizzatori sono un gruppo di pressione chiamato Iraq Veterans Against the War (IVAW) e il dibattito è stato moderato ed animato da uno dei veterani.

Il documentario è toccante. Farò forse un complimento esagerato al regista, ma in alcuni passi mi ricordava Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Il tono è un j'accuse indiretto ma efficacissimo, impastato nei singhiozzi di questi ventenni menomati, fisicamente e psicologicamente. Film duro, ma da vedere.

Tuesday 14 August 2007

E pluribus unum

Tradotto liberamente, il motto in latino del governo degli Stati Uniti è davvero 'melting pot'. Ed il primo impatto con Adams Morgan, il quartiere di Washington dove ho trovato casa, conferma molti degli luoghi comuni sulla molteplicità dell’America.

Il comitato di zona ci tiene a sottolineare che la zona sia 'residenziale'. Quello che vedo io è un allegro carnevale di afro-americani, italiani ed ispanici, moltissimi ispanici. Per qualche no-global, vedere la capitale dell'impero tappezzata di cartelli stradali e poster pubblicitari di McDonald's scritti interamente in spagnolo dev’essere l’ottava meraviglia del mondo. La realtà mi sembra molto più complessa, ma staremo a vedere.

Nel frattempo, con il Congresso, l’enorme macchina mediatica e le lobbies in ferie, il mio primo assaggio di politica americana in queste torride giornate agostane é avvenuto per strada ed è stato tanto curioso quanto rivelatore.

Nei pressi del centro, una signora minuscola mi avvicina e mi mette sotto il naso un blocco: è una petizione per chiedere l’impeachment di Dick Cheney. La teoria della rimossione forzata del vice-presidente non è poi così strampalata. Ne ha parlato di recente anche l’Economist: se si dovesse chiedere l’impeachment di Bush, il burattinaio Cheney diverrebbe automaticamente presidente. Tanto vale, allora, tentare di rimuovere direttamente il vice.

Detto questo, sia i tempi che le modalità della campagna mi lasciano perplesso. A fugare i miei dubbi interviene un giovane passante che mi intima di non dare retta agli psicopatici. La risposta della signora è perentoria: "firma qui, firma qui, che quel tizio si fa di anfetamine". Molto anni settanta, le anfetamine, signora. Magari ripasso.