Friday, 23 November 2007

Il cellulare di D'Alema

Giorni fa, alcuni quotidiani e agenzie l'avevano presentata come una macchietta. D'Alema che parla al cellulare durante la foto di gruppo del vertice italo-tedesco, la Merkel che lo riprende ("Sei peggio di Sarkozy"), e lui che le risponde ("È Kouchner (ministro degli esteri francese, ndr), se vuoi te lo passo").

Ora: che gli italiani abbiano un rapporto simbiotico coi cellulari è uno stereotipo abbastanza popolare all'estero. E che D'Alema non dia l'impresione di essere un campione di simpatia è putroppo per lui un altro stereotipo. Vorrei, però, dare a Massimo quel che è di Massimo.

Tiro a indovinare, ma il motivo più probabile per il quale dovesse urgentemente rispondere alla telefonata di Kouchner è la crisi libanese. Oggi scade infatti il mandato del presidente, il maronita Lahoud. I due campi contrapposti in questo ennesimo, triste scontro mediorientale--quello governativo filo-occidentale, prevalentemente sunnita da un lato e quello cristiano e sciita dall'altro--non hanno raggiunto un accordo e non si ha la più pallida idea di chi lo succederà e di che succederà.

Considerando l'influenza che i teatrini della politica italiana hanno avuto, in tempi più o meno recenti, sulla nostra politica estera (memento Turigliatto, Rossi etc.) l'attivismo italiano in Medio Oriente è a mio parere più che apprezzabile. Per quanto riguarda il Libano, l'Italia ha avuto un ruolo importante nella mini-guerra fra Hezbollah ed Israele dell'estate del 2006 e fa parte della troika informale di euro-mediterranei (insieme a Spagna e, appunto, Francia) che tenta di mediare la crisi di queste settimane. E poi il conflitto israelo-palestinese, la Turchia, l'Onu e la moratoria sulla pena di morte, l'Italia sta ritagliandosi uno spazio importante con delle posizioni, nei limiti del possibile, di buon senso.

Se questo attivismo sia sufficente a limitare i danni in Medio Oriente è un discorso sul quale, purtroppo, rimango scettico. Mi domando però, se in questa fase piuttosto deprimente della politica nazionale, gli affari esteri non possano tornare ad avere quel ruolo di collante che hanno giocato (nella forma se non nella sostanza) fino all'11 settembre 2001.

Collante non nel senso bipartisan-menefreghista del termine ("siamo tutti europeisti, internazionalisti, atlantisti"), né in quello arcano, e per l'Italia anche un po' profano, dell''interesse nazionale'. Ma in quello, più alto e pragmatico allo stesso tempo, di dare al nostro paese un valore ed un ruolo concreto e proporzionato al nostro peso economico e politico.