Tuesday, 21 August 2007

Scontro di fondamentalismi?

E' di oggi la notizia che il Ministro degli Esteri turco Abdullah Gül ha mancato nuovamente il quorum per essere eletto Presidente della Repubblica, ma è probabile che siamo finalmente giunti all'epilogo di questa saga tutta bizantina che va ormai avanti dallo scorso aprile.

Almeno a prima vista, la querelle sembra avere i contorni di quello che l'intellettuale anglo-pachistano Tariq Ali chiama 'clash of fundamentalisms': da un lato i militari, garanti ultimi della laicità dello stato e dell'eredità repubblicana di Ataturk; dall'altro il partito di ispirazione islamica AK (che letteralmente sta per Giustizia e Sviluppo) del primo ministro Erdogan e dello stesso Gül. Era stato proprio il fallimento ad eleggere Gül presidente e le successive pressioni dei militari lo scorso maggio a portare la Turchia ad elezioni anticipate, stravinte - strameritatamente, aggiungo io - dal partito AK. Ora Gül si ripresenta, forte del 47% dei voti ottenuti nelle elezioni di luglio, ed è possibile che ce la faccia al terzo se non addirittura al secondo scrutinio.

La mia idea è quello che si sta verificando in Turchia ha poco a che fare col fondamentalismo o col velo che copre la testa della signora Gül - il pomo della discordia nel dibattito locale. Negli ultimi cinque anni, Erdogan ha ampiamente dimostrato di aver accantonato i suoi trascorsi islamici a favore di un riformismo pragmatico e determinato che non ha precedenti nella Turchia moderna e che ha portato il Paese ad ottenere la tanto agognata - quanto contestata - candidatura all'Unione europea. Il successo del partito AK sta lì a dimostrare che per mantenere la democrazia in Turchia non è (più) necessario il freno a mano dei militari e che progresso democratico ed Islam non sono due realtà antitetiche.

La candidatuta di Gül si inserisce in questo contesto ed è fondamentale che le ultime tappe di questa saga presidenziale si svolgano senza ulteriori ingerenze da parte dei generali. E' in gioco la credibilità e la stabilità di un paese che, ci piaccia o no, è sempre più vicino all'Europa.