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Wednesday, 14 January 2009

Il tabu' Hamas

Una delle condizioni poste dalla comunita' internazionale per dialogare con Hamas e' che riconosca lo stato di Israele. Hamas, fino a prova contraria, e' un partito non uno stato. Da quando in qua i partiti devono riconoscere gli stati?

La richiesta, per inciso, non fa altro che legittimare quanto in realta' Hamas conti negli equilibri mediorientali. Autorevoli osservatori si sono da tempo sgolati a dire che non si puo' prescindere dal cercare il dialogo con Hamas. Questo non significa assecondarne i metodi o le richieste, e non significa nemmeno che il dialogo debba essere sbandierato ai quattro venti. Significa finirla con questa sceneggiata secondo la quale di (ed ad) un'organizzazione terrorista non si debba nemmeno parlare.

Saturday, 3 January 2009

Huntington & Hamas

E' morto alla vigilia di natale uno dei teorici delle relazioni internazionali che ammiro di piu': non tanto (o non solo) per cio' che diceva, ma per come lo diceva. Huntington divenne universalmente noto dal 1993 in poi per la pubblicazione del saggio The Clash of Civilizations.

Li' teorizzava l'ascesa di fattori culturali e religiosi in sostituzione dell'ideologia come elementi chiave nella definizione dell'ordine internazionale. La teoria fu popolare da subito ma e' stata ripresa, piuttosto arbitrariamente, dopo l'11 settembre per spiegare l'ascesa del terrorismo internazionale (in un modo che Huntington generalmente ripudiava).

The Clash of Civilizations ha fornito sicuramente un ottimo strumento a quanti volessero spiegare la radicalizzazione dell'Islam politico nel Medio Oriente e l'ascesa di movimenti come Hamas in Palestina ed Hezbollah in Libano. E fornisce sicuramente un'ottima spiegazione a quanti cerchino di giustificare l'attacco di Israele o la "resistenza" di Hamas di queste ore.

Il conflitto arabo-israeliano e' troppo complesso per consentire di prendere una parte o l'altra in modo aprioristico. Non si puo' non constatare la "sproporzione" dell'attacco israeliano (con ovvie motivazioni di politica interna a fomentarlo), cosi' come non si possa minimizzare il fatto che Gaza sia di fatto un "failed state" prima ancora di diventare stato.

In questo senso, c'e' una parte meno nota del lavoro di Huntington che a mio parere da una spiegazione accurata anche se pessimistica degli eventi di queste ore. Nel libro The Third Wave, Huntington spiegava la "transizione" verso la democrazia dopo la fine della guerra fredda e come paesi che si allontanassero dalla dittatura fossero gradualmente diretti verso la democrazia.

Ecco, questo principio ha ispirato una delle pochissime prese di posizione della comunita' internazionale nei confronti dell'Autorita' Palestinese negli ultimi anni: favorire le elezioni in modo che queste rafforzassero la democrazia nei Territori. Le elezioni hanno prodotto la vittoria di Hamas, la radicalizzazione del confronto politico nei Territori prima ancora che con Israele e la sconfitta politica e morale del presidente palestinese Abbas.

Il mondo arabo ed i territori in particolare non sono "in transizione" verso nessun posto. Non verso la democrazia e sicuramente non verso la pace.

Wednesday, 28 November 2007

A (come Annapolis) Day

Si è appena conclusa, a pochi chilometri da qui (Annapolis), la conferenza internazionale sulla pace in Medio oriente. Per l'osservatore casuale di affari esteri, il risultato è piuttosto scontato ma non trascurabile: palestinesi e israeliani hanno fondamentalmente concordato di non essere d'accordo.

Per una volta, però, sembra essere più una questione di tempi che di modi. O meglio: si sa esattamente, e almeno dal 2000, ciò su cui si deve negoziare (rifugiati, status di Gerusalemme, riconoscimento dello stato di Israele, occupazioni israeliane in Cisgiordania etc.). Non mi pare sia ancora chiaro quando farlo.

Oggi, israeliani e palestinesti si sono impegnati a chiudere il confronto entro il 2008. Ma i rappresentanti delle tre parti in causa (Olmert, Abbas e Bush) sono politicamente uno più debole dell'altro e prima di impegnarsi in grandi proclami per la pace dovranno fare i conti con il dissenso interno. Staremo a vedere.

PS: Sbirciando la lista dei partecipanti alla conferenza, non può passare inosservata la solita inutile sfilza di europei. Per la precisione, 12 paesi, + Commissione, Consiglio europeo e Solana. Per la politica estera comune, evidentemente, c'è ancora molto tempo.

Sunday, 30 September 2007

La negazione e il complotto

Il mio padrone di casa qui a Washington (un europeo) mi ha detto che uno dei fattori per i quali ha deciso di affittarmi casa è che, in quanto europeo, sono sicuramente pro-palestinese. Gli ho risposto che in realtà non lo sono, che non sono anti-israeliano e che sono soprattutto piuttosto allergico a dicotomie di questo tipo.

E non l'ho detto all'indomani della visita contestatissima del negazionista Ahmadinejad. L'ho detto perchè oggettivamente in America la questione è talmente delicata che o si prende una posizione netta e possibilmente documentata, oppure è meglio cambiare discorso.

Qui non farò né l'uno né l'altro (se si ha una mezz'ora, però, ne ho scritto qui). Mi limito a constatare il polverone causato da un articolo (diventato libro il mese scorso) di John Mearsheimer e Stephen Walt, politologi a Chicago ed Harvard rispettivamente.

The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy spiega di come ed in che misura gli ebrei americani influenzino la politica estera degli Stati Uniti. È una tesi vecchia quanto il mondo, ma date un'occhiata alla quantità, e soprattutto al tono, delle critiche piovute sugli autori.