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Tuesday, 2 December 2008

Squadra di rivali

Detto fatto: dopo Larry Summers e una serie di clintoniani, il repubblicano Gates confermato alla difesa e Hillary agli esteri, ci manca solo Al Gore all'ambiente, e Obama ha veramente creato il lincolniano 'team of rivals.'

I vantaggi e i rischi di una tale scelta sono piuttosto intuitivi: da un lato la possibilità di fare scelte bipartizan e di scegliere persone in base alle competenze, dall'altro una squadra di prime donne che non perdono occasione di pugnalarsi alla schiena e pugnalare il comandante in capo.

Non resisto però ad un parallelo forse ingeneroso, con un rimpasto del governo Berlusconi che lasci in poltrona i soli Brunetta e Tremonti e metta per dire, Rutelli all'ambiente, Parisi alla Difesa, Enrico Letta alle attività produttive e, ovviamente, D'Alema agli Esteri.

Altro che collocazione del Pd nel parlamento europeo: se Mr. B riuscisse a replicare la manovra Villari in modo minimamente più elegante, secondo me il Pd rischierebbe seriamente l'estinzione.

Saturday, 22 November 2008

Il G-19

Mega-raduno della confindustria danese l'altro giorno a Copenaghen, con ospite d'onore Joschka Fischer, il caustico ex-ministro degli esteri tedesco. Fischer comincia il suo discorso sul futuro dell'Europa descrivendo la foto della cena del G-20 riunito a Washington per la crisi finanziaria.

E' una questione di protocollo, ha notato, che l'ospite Bush si sieda al centro, e in maniera piuttosto gerarchica a fianco a lui si siedano via via presidenti, poi i primi ministri, e via dicendo. L'aspetto curioso e abbastanza rivelatore della forza europea, ha poi notato Fischer,
è che tutti i leader europei, a partire da Sarkozy, poi Brown, poi Merkel, poi Barroso, erano relegati agli angoli del tavolo. Tre secondi di pausa. Ah, si ! C'era anche il "nostro amico Berlusconi" all'angoletto, aggiunge, nella battuta che ha preceduto l'unica risata grassa collettiva degli settecento ingessatissimi industriali danesi.

Avrei tanta voglia
ogni tanto di dire che ognuno farebbe bene a guardarsi gli affari di casa propria invece di criticare. Ma quando l'onore dello sberleffo collettivo è riservato sempre e solo a noi italiani, a me quella voglia è passata da tempo.

Sunday, 2 November 2008

It really is time

Un po' per scelta, un po' per una cronica allergia all'hi-tech, ci ho messo più di un anno a caricare la prima foto su questo blog. L'occasione mi sembra di quelle che meritano.

Mi
è capitato diverse volte di parlare qui delle elezioni americane. All'inizio ero li', poi l'ho vista da qui, poi ero di nuovo lì. Mi è capitato di spendere qualche parola per John McCain, un politico che ha un track-record di indipendenza invidiabile e di cui qualsiasi democrazia non potrebbe che giovarsi. Ho scritto dei vari primari e comprimari (da Joe Biden a Hillary e Bill Clinton) che in un modo o nell'altro hanno animato quell'enorme circo che sono le elezioni americane.

Più di tutto, ovviamente, ho cercato di capire e di spiegarmi la campagna di Barack Obama. Fiumi di inchiostro sono stati spesi sulla questione, e altrettanti ne saranno spesi dopo il 4 novembre, comunque vada.

Se alla fine dovessi sintetizzare in una frase quali sono le qualità del candidato democratico che mi avrebbero portato a votarlo, direi la sua capacità di ascolto. Facile, mi si dirà, parlare di 'Hope' e 'Change' quando non si ha niente da perdere, come era il suo caso all'inizio. Facile dimostrarsi calmo e posato in situazioni di crisi come la Georgia o Wall Street quando si è in vantaggio. Facile dimostrarsi "presidenziale" quando si ha carisma ed eccellenti doti retoriche.

Premesso che non credo che niente di tutto questo sia facile, quello che ho cercato di intuire è stata l'abilità o meno di Obama di imparare in tutti quei settori nei quali il Senatore dell'Illinois non ha alcuna esperienza esecutiva: dalla politica estera all'economia.

L'impressione che ne ho tratto
è stata di un candidato consapevole dei propri limiti ("i will not be a perfect president" ripete fino alla noia nei comizi) ma equilibrato nel circondarsi di persone preparate (soprattutto il team economico) e di scaricare quelli che per un motivo o per un altro si sono rivelati inadeguati (il rev. Wright, o Samantha Power in politica estera).

In un lavoro impossibile come quello di Presidente degli Stati Uniti la capicit
à di tenere occhi e orecchie aperte a chi ti sta intorno mi sembra una qualità fondamentale e, for what it's worth come dicono da quelle parti, credo che Obama ce l'abbia. Per me è più che sufficente per farne il candidato migliore per quel lavoro impossibile.

Saturday, 23 August 2008

Il potere scaltro

Doveva era stanchissimo, eravamo tutti piuttosto stanchi dopo una giornata-maratona di relazioni e dibattitti. Lui aveva pure il fuso orario sul collo. Certo è che quando un paio di mesi fa ho avuto la possibilità di incontrare Joe Biden, la prima e forse principale impressione che mi ha fatto è stata quella di un uomo che conosce "the ways of Washington," come si dice da quelle parti.

Il suo discorso in quell'occasione fu abbastanza carico retoricamente, il Senatore si smarc
ò piuttosto abilmente da domande a trabocchetto su McCain e Obama, e il messaggio finale che mi lasciò alla fine potrebbe non essere rivoluzionario, ma è ampiamente condivisibile--in puro stile ways-of-Washington. Non esiste "hard power" (L'America, ndr) o "soft power" (L'Europa ndr), disse il Senatore, esiste solo lo "smart power", il "potere scaltro".

E scaltri, a mio parere,
i democratici si sono dimostrati. La guerra in Iraq sembra essere stata sorpassata nei sentimenti degli elettori americani dalla crisi economica. Gli sviluppi della situazione in Georgia, però, sono un monito abbastanza esplicito che quello che Bob Kagan chiama il "Ritorno della Storia" è una realtà che potrebbe ricominciare a pesare in campagna elettorale. Serviva un uomo di esperienza in politica estera per accompagnare Obama alla Casa Bianca, e Biden lo è.

Biden presiede la Commissione affari esteri del Senato e ha un discreto pedigree bipartizan. La sua lunga permanenza in politica minerà un po' il messaggio di cambiamento con cui Obama ha martellato gli americani nell'ultimo anno. E McCain probabilmente se ne servirà per confermare che il cambiamento proposto da Obama è tutto fumo e che il giovanotto in fondo non è preparato. Nelle settimane più recenti, i sondaggi (per quello che valgono) suggeriscono che la tattica dell'attacco frontale funziona. D'altro canto, per Obama, era quasi una scelta obbligata, e adesso i democratici dovranno lavorare per cercare di far quadrare il cerchio intorno a questo ticket ben assortito ma eterogeneo.

Tifo spudoratamente che riescano a rimanere scaltri fino alla fine.

Monday, 14 January 2008

L'Iowa, il New Hampshire e la politica ubriaca

Periodo di pausa forzata dal blog dedicata prevalentemente a viaggi, estenuanti trattative e immersione politica. Sorvolo sui viaggi, che tanto ricapitano. E ritornerò probabilmente sull'estenuante trattativa, ora felicemente conclusa, che ha riguardato l'aspetto contrattuale del mio libro.

Un breve appunto invece la lascio sull'immersione politica, che ha riguardato ovviamente le primarie americane. Ciò che mi lascia piuttosto perplesso, aldilà del circo mediatico e delle toppe dei sondaggi, è la cura maniacale dei dettagli di forma da parte della gran parte dei candidati. In America è così da decenni, ma questa volta mi sono sorbito il pianto di Hillary e le bordate calcolate di Huckabee nella bolla di Washington, che rende il tutto quasi nauseante.

Certo è, che anche da questo punto di vista, Obama continua a sembrarmi il candidato più credibile. La sostanza rimarrà anche, talvolta, approssimativa. Ma per coerenza e carisma, Obama convince (e quasi commuove, vedere il suo discorso in Iowa per credere).

E, per inciso, per quanto teatrale possa essere la campagna americana, siamo sempre anni luce dai ruspanti "utile idiota" e "ubriaco" che si scambiarono Berlusconi e Prodi sotto l'occhio vigile di Vespa nel 2006.