Quella di John McCain, innanzitutto, che secondo me stramerita e che promette bene per la campagna 'vera' in autunno. McCain è per certi versi un candidato sui generis, un maverick come si dice sempre di lui. Detto questo, il messaggio dell'elettorato repubblicano di superare la polarizzazione dell'era Bush è forte e chiaro. (Non è un caso che Bloomberg, il potente sindaco di New York, abbia abbandonato ogni proposito di candidarsi come indipendente).
Per i democratici, come si sa, la strada è tutta in salita. Non ho mai creduto che Obama fosse all'improvviso diventato un candidato 'inevitabile,' così come non credo che la bolla sia improvvisamente scoppiata ieri. Certo è che il logoramento che si prepara per questa primavera gioverà solo al circo dei media (oltre a McCain, naturalmente).
L'altro giro di nominations riguarda le liste del Pd. Il sistema elettorale e la cooptazione endemica che ha caratterizzato l'operazione mi rende proprio difficile chiamarle candidature. L'esempio più ovvio, e secondo me, più sciatto sono le parole 'ds', 'margherita' e, ancor peggio, 'donna' e 'uomo', stampigliate sulle liste di alcune regioni quando, evidentemente, per i nomi e cognomi ancora si stavano scannando.
Più delle polemiche sugli inclusi e sugli esclusi, più delle faide intestine, più dei campanilismi e dei particolarismi: ad essere in dissonanza col messaggio di rinnovamento che il Pd sta cercando di far filtrare secondo me è proprio la sciatteria con la quale sono state presentate queste liste. Forse--mi auguro--è solo un'impressione.