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Tuesday, 2 September 2008

Gli straordinari

Un mio pezzo, pubblicato su EUObserver, con qualche idea per il vertice straordinario sulla Russia. Qualcosina si potrebbe ancora fare.

A basic agenda for an extraordinary summit

FABRIZIO TASSINARI

01.09.2008 @ 19:00 CET

EUOBSERVER / COMMENT - There will be much on the agenda as EU leaders convene on 1 September for an emergency summit on the fallout from the Georgia-Russian conflict. The most urgent task concerns Georgia's immediate post-war predicament.

A reconstruction plan, support for a UN-led investigation on the events of the war, and sending in observers or peacekeepers have been among the ideas floated in recent days. They will have to be seriously considered if the EU is to follow up on the timely but somewhat limited peace-brokering efforts of the past weeks.

The larger, and more elusive, question concerns what's next for the EU and Russia. The possibility of imposing sanctions, freezing negotiations on a visa-free deal or even on the broader framework agreement, has generated some misgivings on the usual - and valid - ground that the EU and Russia are too interdependent to be able to just sever their relations to such an extent. But testifying to the significance of the crisis, these options are on the table.

There is room for taking it a step further, and turning the crisis into an opportunity to at least kick-start a long-overdue discussion on the flaws of, and possible solutions to, the EU's approach to Russia.

The most outstanding liability is the notorious lack of coordination within the EU. It concerns different EU institutions, often running their own Russia policy. It afflicts its member states, with their contrasting positions on Moscow. This is not a conundrum that Europe will be able to solve any time soon.

Yet, in order to ensure a more consistent response to Moscow, some sort of code of conduct (or "solidarity" as it's called in Central Europe) on Russia would at last be in order. This should not be a formal, and inevitably watered-down, commitment: the EU has already been there with the ill-fated Common Strategy on Russia of 1999.

It would have to be a more basic list of dos and don'ts enabling Member States to achieve better consultation and swifter coordination, in the event of new crises between Russia and individual countries in the EU or in its neighbourhood.

The recent crisis should also give enough evidence to bury once and for all the pretence of some Europeans that a policy of incentives based on the EU acquis can still provide for the script in the bilateral negotiations with Moscow.

This means that, when dealing with Russia, what the EU is left with is basically the practice of log-rolling between unrelated issues. Euro-purists might roll their eyes at this proposition, but in recent years that has proven to be the only way to get something out of Russia.

The most notable example in this respect is still the 2004 deal, under which the EU gave its go-ahead to Russia's accession to the World Trade Organisation in exchange for Moscow's ratification of the Kyoto protocol on climate change. Such a trade-off, and on this kind of issue is light-years away from today's name of the game. But one only needs to look at the numerous sectoral "dialogues" in which the EU and Russia are engaged to imagine possible combinations.

Shifting the EU's Ostpolitik

Thirdly, the conflict should prompt a shift in the EU's Ostpolitik. The paradox here is that the substance of the European Neighbourhood Policy (ENP) is for the time being as good as it gets for the former Soviet countries, and yet the feedback from Ukraine, Moldova and Georgia itself over the past years has largely been negative.

Time is ripe for the move that has been floating in EU corridors ever since the ENP was first launched: separate the Eastern European component from the Mediterranean one and call it something else - possibly with the word "integration" in it.

The EU is not exactly known for reacting to crises with powerful symbolic gestures. Any such shift could help push further some existing ENP provisions, but it is unlikely to lead to an EU membership perspective for Ukraine or Moldova in the foreseeable future.

Yet, if further evidence were needed, the war and the recognition of the independence of South Ossetia and Abkhazia have demonstrated that Russia's assertive posture in the "near abroad" has now crossed the Rubicon. Brussels' incremental and inclusive approach is the only strategic response Europe can provide, and must reinforce it.

Above all, on 1 September, the EU will have to aim for the kind of pragmatism that it has rarely been able to display in its relations with Moscow. Urgency can trigger some genuine unity on Russia. Visible, short-term measures can for once supersede long-term, and often wishful, thinking. The least common denominator among Member States can sometimes deliver tangible outputs. A pragmatic EU, after all, is what Moscow also claims to be interested in - and would most probably not expect.

Wednesday, 13 August 2008

Le morali di una guerra

La Russia sostiene che ha cominciato la Georgia. La Georgia dice che hanno cominciato i russi. Francamente, non importa. I conflitti cosiddetti 'congelati' (quasi un ossimoro) in Ossetia del Sud, e quello parallelo in Abkazia, hanno bollito per oltre un decennio e segnali di un'esplosione vera e propria sono stati frequenti negli ultimi mesi. Adesso la guerra è esplosa e quello che veramente conta è cercare di intravedere le conseguenze.

La prima direi
è che la Russia, per la prima volta dall'elezione di Putin nel 2000, ha dimostrato che alle parole (e qualche interruzione energetica) seguono i fatti. La Russia difficilmente sarà isolata dopo la guerra. L'occidente non se lo può permettere e il mondo non è più unipolare.

La seconda
è che Saakashvili ha tirato troppo la corda. L'avevo scritto qualche mese fa: il presidente georgiano è giovane ed ambizioso, due attributi pericolosi in un paese come la Georgia. Comunque siano andate veramente le cose, Saakashvili ha alzato i toni, provocato, e portato la Georgia sull'orlo di un'invasione russa fino a Tbilisi. Ora rischia il posto, ma anche se non lo rischiasse, ha decisamente perso l'aura di eroe romantico che si era creato e che gli americani hanno sostenuto e promosso.

La terza conseguenza riguarda proprio gli Stati Uniti. Con Bush a fine mandato, ai minimi storici di popolarit
à e con l'esercito 'overstretched' in Iraq, era inverosimile immaginare un sostegno militare americano. Che però Washington, in questa occasione, si sia praticamente limitato a facilitare il rimpatrio dei soldati georgiani di stanza in Iraq e a sostenere la missione europea guidata da Sarkozy la dice lunga sulla posizione degli Stati Uniti e sulle conseguenze per Tbilisi. La Georgia è un paese che si è inventato un americanismo quasi kitsch: la prima cosa che il passeggero incontra all'uscita dell'aeroporto di Tbilisi è un enorme poster con George W. che digrigna la mascella e saluta con la manina. I georgiani erano arrivati a sperare che potessero presto entrare nella NATO, grazie al sostegno americano. Quel sostegno non è servito in occasione dell'ultimo vertice dell'Alleanza, ed è molto, molto improbabile che arrivi ora.

Wednesday, 2 April 2008

O Bucarest, o morte

La prima, e per ora unica, volta che ho ascoltato Viktor Yushchenko e Mikheil Saakashvili parlare è stato un paio di anni fa nel mastodonte di marmo bianco costruito da Ceausescu a Bucarest. I presidenti di Ucraina e Georgia ritornano in quel palazzo oggi per il vertice della NATO. La differenza, questa volta, è che presumo parleranno poco e ascolteranno tanto.

Solitamente i vertici internazionali sono vetrine per decisioni, talvolta storiche, contrattate in anticipo. Dopo mesi di negoziati, però, questa volta i capi di stato dell’Alleanza atlantica si incontreranno senza aver raggiunto un compromesso sulla possibilità di avvicinare la prospettiva di adesione per Kiev e Tbilisi.

Le posizioni contrapposte sono quelle solite, e aggiungo purtroppo. Si sa che gli americani vogliono spingere sull’acceleratore. E si sa anche che la Russia, con Putin in una delle sue ultime uscite ufficiali da Presidente (poi si vedrà), darà battaglia.

Io sono convinto che la prospettiva del cosiddetto Membership Action Plan (MAP), testa di ponte verso l’adesione, debba essere offerto a questi due paesi. E questo non tanto perchè se lo sono meritato—bisogna pur ammettere che negli ultimi 3-4 anni le ‘rivoluzioni colorate’ si siano tristemente sbiadite. Ma per la loro tenacia nell’avvicinarsi all’Occidente (dopo tutto, i sondaggi in Ucraina danno il supporto popolare per la NATO a meno del 20%).

Il MAP non è nè una scorciatoia nè una garanzia, ma è il segnale che l’Occidente continua a riporre fiducia nelle riforme e nella transizione dei paesi ex-Sovietici. Sia Yushchenko che Saakashvili sanno che quel segnale, per ora, non arriverà dall’Ue, e possono solo sperare che l’avanzamento verso la NATO possa giocare lo stesso ruolo che giocò per paesi come la Polonia, che entrarono nell’Alleanza 5 anni prima dell’Ue.

In tutto questo, il “purtroppo” riguarda le posizioni di Francia e Germania, che si oppongono al MAP per questi due paesi. La cosa che personalmente mi delude è la continuità di Merkel e Sarkozy, che dopo tutto sembrano mantenere le supine posizioni filo-russe dei loro predecessori, a dispetto di proclami all’apparenza coraggiosi.

Per una volta, la partita si gioca tutta al vertice. Non sarà la fine del mondo se la NATO risponderà picche questa volta. Ma la dirà lunga sulle nostre capacità di ricompattarci di fronte alla Russia.

Monday, 21 January 2008

I presidenti

Due storie di elezioni presidenziali, due storie di una democrazia che si allontana.

La prima riguarda Mikhail Saakashvili, l'eroe della 'rivoluzione delle rose' in Georgia nel 2003, che ha ieri inaugurato il suo secondo mandato alla presidenza a Tbilisi (alla presenza del ministro degli esteri russo Lavrov, tanto per gradire). Il primo quadriennio di Saakashvili è stato minato da un processo di riforme mai veramente avviato e da un'involuzione autocratica piuttosto preoccupante. Saakashvili è giovane e ambizioso, attributi utili, ma anche pericolosi in un paese dalla tradizione democratica così debole come la Georgia.

La seconda vicenda riguarda le presidenziali in Serbia, sempre ieri, che hanno visto l'ultranazionalista Tomislav Nikolic superare il presidente in carica, l'europeista Tadic. Per il risultato finale si dovrà aspettare il secondo turno in febbraio, ma la campagna si svolgerà in un clima reso rovente dalla controversia kosovara e dalle discutibili manovre del gigante energetico russo Gazprom. Il futuro democratico della Serbia non è morto, ma che non si senta tanto bene è un eufemismo.

PS, off topic: mi è stato chiesto di fare il testimonial per la mia università, esperienza piuttosto divertente. Finisco quello che ho cominciato e informo chi fosse per caso interessato a lavorare da queste parti che è stato appena aperto questo sito.

PPS ri-off topic: Ottimo corsivo sull'Italia nel FT di oggi, nel quale Martin Rhodes si districa brillantemente fra l''immobilismo', il 'trasformismo' e la 'stratificazione' della realtà politica italiana. Vale un paio di riletture.