Domenica si vota in Russia per le presidenziali. Ho già scritto di Russia qualche volta su questo blog e non mi dilungo ora, semplicemente perchè non c'è molto su cui dilungarsi. Il presunto liberale-liberista Medvedev diventerà presidente e Putin, per lo meno inizialmente, sarà il suo burattinaio.
Ciò di cui si potrebbe parlare è ciò che l'Europa e l'Occidente dovrebbero/potrebbero fare. Ne ho scritto, per una volta in italiano, nel numero di ItalianiEuropei uscito ieri. E la mia tesi è fondamentamente che se l'Europa vuole essere presa sul serio a Mosca, dovrà fare ciò che la Russia meno si aspetterebbe: essere pragmatica. Non posso aggiungere di più, ma se si ha voglia di comprare la rivista, che fra l'altro celebra il suo decennale, devo dire che in questo numero sono davvero in ottima compagnia.
Thursday, 28 February 2008
Wednesday, 27 February 2008
Filtri
Assenza dal blog dovuta a cause di forza maggiore: piuttosto semplicemente, non ci vedevo. Dopo un'operazione durata esattamente 34 secondi per occhio, via montature, lenti, filtri, e con un po' di pazienza riuscirò a fissare di nuovo lo schermo per più di dieci minuti.
A proposito di filtri: mi informano che un mio rapporto è filtrato settimana scorsa in una disputa fra Parlamento Europeo e Consiglio Ue. Onestamente, mi pare che il mio messaggio sia stato un po' manipolato. Facciamo che per questa volta non l'ho visto. Per cause di forza maggiore.
A proposito di filtri: mi informano che un mio rapporto è filtrato settimana scorsa in una disputa fra Parlamento Europeo e Consiglio Ue. Onestamente, mi pare che il mio messaggio sia stato un po' manipolato. Facciamo che per questa volta non l'ho visto. Per cause di forza maggiore.
Sunday, 17 February 2008
Inevitabile
Non è deprecabile, ma non era neanche particolarmente auspicabile. Non è illegittimo, ma non è formalmente legale. Oggi il Kosovo si auto-proclama indipendente ed era semplicemente inevitabile.
L’indipendenza non è deprecabile ed è legittima per ragioni di storia recente. I kosovari hanno sofferto e hanno pagato. Hanno vissuto sotto l’egida dell’Onu per 9 anni (qualcosa che, mi dicono, non si augura a nessuno) con la promessa (risoluzione 1244) che il loro status giuridico e politico sarebbe stato prima o poi chiarificato. La comunità internazionale ha provato per mesi a ‘chiarificare’, e alla fine adotterà in pratica quella soluzione di “indipendenza supervisionata” proposta in teoria dall’ex presidente finlandese Ahtisaari.
Il problema, com’è noto, è che i russi si sono impuntati a New York e che la soluzione non è stata benedetta dal Consiglio di sicurezza. Ergo, è formalmente illegale e non particolarmente auspicabile. Peggio ancora, gli americani sono ardentemente a favore dell’indipendenza mentre gli europei saranno, nuovamente, divisi ed alcuni stati come Cipro e la Romania non riconosceranno il Kosovo.
La Serbia e la Russia non staranno a guardare. Belgrado imporrà sanzioni economiche al neonato stato e chiuderà il confine a nord. La Russia non perderà occasione per rinfacciare la vicenda kosovara in altri contesti, anche se dubito che spingerà per l’indipendenza dell’Abkhazia, della Transniestria, o dell’Ossezia meridionale. Mosca può parlare minacciosamente di un ‘precedente’ kosovaro fino a sfiatarsi, ma l’indipendenza di queste altre pseudo-entità semplicemente non le converrebbe.
Quel che è inevitabile è che oggi si apre un nuovo impegnativo capitolo nell’interminabile storia dei Balcani e in quella più recente della politica estera europea. Il Kosovo ha deciso di andare con le sue gambe ma le serviranno anche quelle di qualche centinaio di doganieri, poliziotti e giudici europei. E quelle di 16 mila soldati NATO che continueranno a tentare di evitare che gli albanesi e i serbi si scannino a vicenda.
Il problema vero è che il Kosovo rischia seriamente il collasso prima ancora di nascere. I kosovari sono circa due milioni, ma non esiste un censo attendibile della popolazione—un handicap non indifferente quando si tratta di costruire uno stato praticamente dalle fondamenta. Si sa che il livello di disoccupazione sia altissimo, circa il 40% della popolazione. Solo il 10% delle donne kosovare ha un lavoro. E il Kosovo ha il più alto tasso di crescita demografica in Europa, che secondo il Financial Times si traduce in 30 mila giovani kosovari in più sul mercato del lavoro ogni anno.
L’Europa dovrà rimboccarsi le maniche e incrociare le dita, possibilmente in quest’ordine.
L’indipendenza non è deprecabile ed è legittima per ragioni di storia recente. I kosovari hanno sofferto e hanno pagato. Hanno vissuto sotto l’egida dell’Onu per 9 anni (qualcosa che, mi dicono, non si augura a nessuno) con la promessa (risoluzione 1244) che il loro status giuridico e politico sarebbe stato prima o poi chiarificato. La comunità internazionale ha provato per mesi a ‘chiarificare’, e alla fine adotterà in pratica quella soluzione di “indipendenza supervisionata” proposta in teoria dall’ex presidente finlandese Ahtisaari.
Il problema, com’è noto, è che i russi si sono impuntati a New York e che la soluzione non è stata benedetta dal Consiglio di sicurezza. Ergo, è formalmente illegale e non particolarmente auspicabile. Peggio ancora, gli americani sono ardentemente a favore dell’indipendenza mentre gli europei saranno, nuovamente, divisi ed alcuni stati come Cipro e la Romania non riconosceranno il Kosovo.
La Serbia e la Russia non staranno a guardare. Belgrado imporrà sanzioni economiche al neonato stato e chiuderà il confine a nord. La Russia non perderà occasione per rinfacciare la vicenda kosovara in altri contesti, anche se dubito che spingerà per l’indipendenza dell’Abkhazia, della Transniestria, o dell’Ossezia meridionale. Mosca può parlare minacciosamente di un ‘precedente’ kosovaro fino a sfiatarsi, ma l’indipendenza di queste altre pseudo-entità semplicemente non le converrebbe.
Quel che è inevitabile è che oggi si apre un nuovo impegnativo capitolo nell’interminabile storia dei Balcani e in quella più recente della politica estera europea. Il Kosovo ha deciso di andare con le sue gambe ma le serviranno anche quelle di qualche centinaio di doganieri, poliziotti e giudici europei. E quelle di 16 mila soldati NATO che continueranno a tentare di evitare che gli albanesi e i serbi si scannino a vicenda.
Il problema vero è che il Kosovo rischia seriamente il collasso prima ancora di nascere. I kosovari sono circa due milioni, ma non esiste un censo attendibile della popolazione—un handicap non indifferente quando si tratta di costruire uno stato praticamente dalle fondamenta. Si sa che il livello di disoccupazione sia altissimo, circa il 40% della popolazione. Solo il 10% delle donne kosovare ha un lavoro. E il Kosovo ha il più alto tasso di crescita demografica in Europa, che secondo il Financial Times si traduce in 30 mila giovani kosovari in più sul mercato del lavoro ogni anno.
L’Europa dovrà rimboccarsi le maniche e incrociare le dita, possibilmente in quest’ordine.
Tuesday, 12 February 2008
L’Ararat, un Nobel e un taxi
Cos’hanno in comune il monte Ararat, un premio Nobel e un taxi? Assolutamente niente, a parte il mio weekend.
Sono stato, per la prima volta, a Yerevan, la capitale dell’Armenia all’ombra del monte Ararat (sì, quello dell’Arca di Noè): paese congelato in un conflitto ventennale con l’Azerbaijan, governato da un regime che Freedom House valuta solo "parzialmente libero" e che si avvia sonnacchiosamente alle elezioni.
Contesto classico per uno degli aspetti meno simpatici del mio lavoro: parlare di democrazia in un paese in transizione, e di pace in un paese in guerra. E ancor meno simpatico: fare ragionamenti che non sembrino lezioni quando gli ascoltatori sono gente che soffre in pratica quella transizione e quei conflitti di cui noi occidentali cianciamo in teoria.
Devo dire, però, che la cosa questa volta ha assunto un margine di credibilità grazie alla partecipazione alla conferenza di Lord David Trimble, premio Nobel per la pace del 1998. Il professor Trimble, che ebbe il premio a riconoscimento del suo lavoro per il processo di pace nell’Irlanda del Nord, non ha nascosto di conoscere poco del conflitto nel Nagorno-Karabach.
Però ha la possibilità di fare quello che pochi politici e pochissimi ‘esperti’ occidentali possono permettersi di fare: dare consigli su conflitti e democrazia che non solo hanno un fondamento pratico, ma che hanno anche avuto successo.
Che c’entra il taxi? C’entra perchè la conferenza per me si è conclusa con una corsa in taxi nella notte armena con Trimble. Dopo cena e, soprattutto, dopo generose dosi di vodka, il tono della conversazione non poteva essere dei più profondi.
Guardo caso, però, venerdì erano apparse sui giornali le dichiarazioni del capo della Chiesa anglicana in merito alla possibilità di introdurre elementi della sharia nell’ordinamento giuridico della Gran Bretagna. La breve conversazione che ne è seguita in taxi devo tenermela per me ma me la ricorderò finchè campo.
PS: Un mio corsivo vagamente ispirato dalla gitarella caucasica (su The EU Observer, e tradotto in spagnolo da qualche anima pia), sarà oggetto, domani, di due mie interviste a Europolitics (anche nel francese di qualche altra anima pia) e a Deutsche Welle.
Sono stato, per la prima volta, a Yerevan, la capitale dell’Armenia all’ombra del monte Ararat (sì, quello dell’Arca di Noè): paese congelato in un conflitto ventennale con l’Azerbaijan, governato da un regime che Freedom House valuta solo "parzialmente libero" e che si avvia sonnacchiosamente alle elezioni.
Contesto classico per uno degli aspetti meno simpatici del mio lavoro: parlare di democrazia in un paese in transizione, e di pace in un paese in guerra. E ancor meno simpatico: fare ragionamenti che non sembrino lezioni quando gli ascoltatori sono gente che soffre in pratica quella transizione e quei conflitti di cui noi occidentali cianciamo in teoria.
Devo dire, però, che la cosa questa volta ha assunto un margine di credibilità grazie alla partecipazione alla conferenza di Lord David Trimble, premio Nobel per la pace del 1998. Il professor Trimble, che ebbe il premio a riconoscimento del suo lavoro per il processo di pace nell’Irlanda del Nord, non ha nascosto di conoscere poco del conflitto nel Nagorno-Karabach.
Però ha la possibilità di fare quello che pochi politici e pochissimi ‘esperti’ occidentali possono permettersi di fare: dare consigli su conflitti e democrazia che non solo hanno un fondamento pratico, ma che hanno anche avuto successo.
Che c’entra il taxi? C’entra perchè la conferenza per me si è conclusa con una corsa in taxi nella notte armena con Trimble. Dopo cena e, soprattutto, dopo generose dosi di vodka, il tono della conversazione non poteva essere dei più profondi.
Guardo caso, però, venerdì erano apparse sui giornali le dichiarazioni del capo della Chiesa anglicana in merito alla possibilità di introdurre elementi della sharia nell’ordinamento giuridico della Gran Bretagna. La breve conversazione che ne è seguita in taxi devo tenermela per me ma me la ricorderò finchè campo.
PS: Un mio corsivo vagamente ispirato dalla gitarella caucasica (su The EU Observer, e tradotto in spagnolo da qualche anima pia), sarà oggetto, domani, di due mie interviste a Europolitics (anche nel francese di qualche altra anima pia) e a Deutsche Welle.
Monday, 4 February 2008
"Il centro-sinistra ricorda da vicino la ex-Jugoslavia"
Dopo il risultato coraggioso delle presidenziali di ieri in Serbia, mi viene di rispondere: "magari."
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