Immagina che Fausto Bertinotti dica ad un gruppo fondamentalista di musulmani residenti in Italia di "andare all'inferno." Immagina che a causa di questa e simili esternazioni i sondaggi gli attribuiscano una percentuale di voti pari o superiore al Pd. E immagina anche che la Sinistra arcobaleno vada a togliere consensi ad un partito molto popolare di estrema destra, una specie di mostro di Frankenstein a metà fra la Lega e La Destra di Storace.
Trasposto all'Italia, questo è, per grosse linee, lo sviluppo più significativo nella politica danese dell'ultimo mese. Evito di tradurre nomi, cognomi e sigle; quello che è interessante è a mio parere immaginare uno scenario italiano comparabile e, attraverso quello, capire dove sta andando l'agone politico, o perlomeno la comunicazione politica.
Il compromesso è un'arte sottile e profondamente radicata nella cultura dialettica dell'Europa settentrionale. Piuttosto che al ribasso, è generalmente visto come qualcosa 'al rialzo', frutto della sintesi e dell'abilità di saper assorbire e rielaborare costruttivamente le critiche.
La comunicazione politica in Italia, come sappiamo, è perdutamente polarizzata; basta leggere fra le righe di questa campagna elettorale. Nelle prime settimane, una discussione relativamente pacata fra i partiti maggiori aveva fatto agitare immediatamente lo spettro dell'inciucio--non esattamente il sinonimo di una sintesi al rialzo. E la critica più irriverente, perchè probabilmente credibile, a Veltroni è quella del buonismo 'ma-anchista'. Ora sembra essere tornati al caro vecchio 'manicheismo', al muro contro muro senza troppa soluzione di continuità.
Mi risparmio la conclusione facile e forse logica che la politica nordica avrebbe più bisogno di scontro vero, e quella italiana di compromessi più alti. Mi limito ad osservare il paradosso di un paese come la Danimarca che sembra assuefatto al compromesso, e di un multiculturalismo per molti versi fuori controllo apparentemente necessario a farla risvegliare dal torpore della dialettica politically correct.
Per quanto riguarda l'Italia, evito di addentrarmi in considerazioni fantapolitiche su Grosse Koalition o governi tecnici in caso di pareggio. Mi domando che fine abbia fatto l'abilità della nostra classe politica di comprendere le potenzialità a lungo termine della politica bipartizan, specialmente in fasi come quella attuale, in cui la crisi delle istituzioni e lo stato malandato dell'economia richiederebbero scelte concordate.
E mi limito a ricordare che è stato appena celebrato il trentennale del rapimento di uno statista che per il 'compromesso storico' finì col pagare il prezzo più alto.
Tuesday, 25 March 2008
Friday, 14 March 2008
L'"irruzione" e il pentalogo
Leggo della politica estera che "irrompe" nella campagna elettorale, dopo le dichiarazioni di Antonio Martino su Libano (ns militari out) ed Iraq (ns militari in, again). Ho il sospetto che questa rimarrà una delle rarissime volte nelle quali si parlerà di politica estera in questa campagna elettorale, e francamente mi sembra sia stata un'occasione persa.
Come (sorprendentemente!) si legge in molte delle reazioni all'intervista a Martino, entrambe le questioni dovrebbero essere affrontate nel quadro degli impegni internazionali già presi. Si potrebbero (ri)discutere le regole d'ingaggio. Ma la nostra presenza militare in Libano e un ritorno in Iraq fanno entrambi parte di una discussione largamente legata al contingente.
Ci sarebbero invece dozzine di questioni più strutturali che non solo superano lo stereotipo centro-sinistra/europeista vs. centro-destra/atlantista, ma che richiederebbero qualche riflessione più approfondita, anche se il disaccordo fra i contendenti non è lampante.
Un pentalogo molto minimalista richiederebbe qualche parolina su almeno alcune delle seguenti questioni:
1) Come pensa di comportarsi il nuovo governo nel caso di nuova instabilità nei Balcani?
2) Come si comporterà il nuovo governo--filo-turco sia a destra che a sinistra--nel caso, probabile, che il processo di allargamento Ue alla Turchia si areni di nuovo?
3) Come può l'Italia--uno dei principali partner economici dell'Iran--giocare un ruolo più attivo nei negoziati sul nucleare?
4) Come agirà il nuovo governo--nella sostanza filo-russo sia a destra che a sinistra--riguardo all'involuzione autocratica del Cremlino post-Putin?
5) Quale sarà la posizione del nuovo governo italiano in merito all'Unione per il Mediterraneo di Sarkozy? (Ottimo post a riguardo sul blog di ItalianiEuropei).
Ecco, mi piacerebbe tanto ascoltare i due candidati premier esprimere un'opinione su alcune di queste questioni. Ma fra precari insultati e Ciarrapichi candidati dubito fortemente che avrò il piacere.
PS: Per la cronaca, l'omissione sul Tibet è voluta. Senza nulla aggiungere sulla gravità della situazione, è il classico tema che si presta molto al populismo elettorale e poco al dibattito programmatico, così come fu la Birmania nelle primarie del Pd .
Come (sorprendentemente!) si legge in molte delle reazioni all'intervista a Martino, entrambe le questioni dovrebbero essere affrontate nel quadro degli impegni internazionali già presi. Si potrebbero (ri)discutere le regole d'ingaggio. Ma la nostra presenza militare in Libano e un ritorno in Iraq fanno entrambi parte di una discussione largamente legata al contingente.
Ci sarebbero invece dozzine di questioni più strutturali che non solo superano lo stereotipo centro-sinistra/europeista vs. centro-destra/atlantista, ma che richiederebbero qualche riflessione più approfondita, anche se il disaccordo fra i contendenti non è lampante.
Un pentalogo molto minimalista richiederebbe qualche parolina su almeno alcune delle seguenti questioni:
1) Come pensa di comportarsi il nuovo governo nel caso di nuova instabilità nei Balcani?
2) Come si comporterà il nuovo governo--filo-turco sia a destra che a sinistra--nel caso, probabile, che il processo di allargamento Ue alla Turchia si areni di nuovo?
3) Come può l'Italia--uno dei principali partner economici dell'Iran--giocare un ruolo più attivo nei negoziati sul nucleare?
4) Come agirà il nuovo governo--nella sostanza filo-russo sia a destra che a sinistra--riguardo all'involuzione autocratica del Cremlino post-Putin?
5) Quale sarà la posizione del nuovo governo italiano in merito all'Unione per il Mediterraneo di Sarkozy? (Ottimo post a riguardo sul blog di ItalianiEuropei).
Ecco, mi piacerebbe tanto ascoltare i due candidati premier esprimere un'opinione su alcune di queste questioni. Ma fra precari insultati e Ciarrapichi candidati dubito fortemente che avrò il piacere.
PS: Per la cronaca, l'omissione sul Tibet è voluta. Senza nulla aggiungere sulla gravità della situazione, è il classico tema che si presta molto al populismo elettorale e poco al dibattito programmatico, così come fu la Birmania nelle primarie del Pd .
Wednesday, 5 March 2008
Nominations: buone, brutte e cattive
Quella di John McCain, innanzitutto, che secondo me stramerita e che promette bene per la campagna 'vera' in autunno. McCain è per certi versi un candidato sui generis, un maverick come si dice sempre di lui. Detto questo, il messaggio dell'elettorato repubblicano di superare la polarizzazione dell'era Bush è forte e chiaro. (Non è un caso che Bloomberg, il potente sindaco di New York, abbia abbandonato ogni proposito di candidarsi come indipendente).
Per i democratici, come si sa, la strada è tutta in salita. Non ho mai creduto che Obama fosse all'improvviso diventato un candidato 'inevitabile,' così come non credo che la bolla sia improvvisamente scoppiata ieri. Certo è che il logoramento che si prepara per questa primavera gioverà solo al circo dei media (oltre a McCain, naturalmente).
L'altro giro di nominations riguarda le liste del Pd. Il sistema elettorale e la cooptazione endemica che ha caratterizzato l'operazione mi rende proprio difficile chiamarle candidature. L'esempio più ovvio, e secondo me, più sciatto sono le parole 'ds', 'margherita' e, ancor peggio, 'donna' e 'uomo', stampigliate sulle liste di alcune regioni quando, evidentemente, per i nomi e cognomi ancora si stavano scannando.
Più delle polemiche sugli inclusi e sugli esclusi, più delle faide intestine, più dei campanilismi e dei particolarismi: ad essere in dissonanza col messaggio di rinnovamento che il Pd sta cercando di far filtrare secondo me è proprio la sciatteria con la quale sono state presentate queste liste. Forse--mi auguro--è solo un'impressione.
Per i democratici, come si sa, la strada è tutta in salita. Non ho mai creduto che Obama fosse all'improvviso diventato un candidato 'inevitabile,' così come non credo che la bolla sia improvvisamente scoppiata ieri. Certo è che il logoramento che si prepara per questa primavera gioverà solo al circo dei media (oltre a McCain, naturalmente).
L'altro giro di nominations riguarda le liste del Pd. Il sistema elettorale e la cooptazione endemica che ha caratterizzato l'operazione mi rende proprio difficile chiamarle candidature. L'esempio più ovvio, e secondo me, più sciatto sono le parole 'ds', 'margherita' e, ancor peggio, 'donna' e 'uomo', stampigliate sulle liste di alcune regioni quando, evidentemente, per i nomi e cognomi ancora si stavano scannando.
Più delle polemiche sugli inclusi e sugli esclusi, più delle faide intestine, più dei campanilismi e dei particolarismi: ad essere in dissonanza col messaggio di rinnovamento che il Pd sta cercando di far filtrare secondo me è proprio la sciatteria con la quale sono state presentate queste liste. Forse--mi auguro--è solo un'impressione.
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