Ho scritto giorni fa che gli italiani all'estero non sono "specie protetta" ma una risorsa che potrebbe e dovrebbe contribuire al dibattito nel nostro Paese con un bagaglio di esperienze e conoscenze largamente sottostimato. Provo razzolare un po' sul predicato parlando di welfare.
Personalmente ho avuto l'opportunità di vedere da vicino due realtà teoricamente agli antipodi per quanto riguarda il modello di stato sociale che propongono: gli Stati Uniti e la Danimarca.
Ho sentito diverse persone parlare molto positivamente--udite, udite--della sanità americana: servizi all'avanguardia, professionalità impeccabili ecc. Ma i limiti di questo sistema sono ultranoti e non è necessario andarsi a vedere Sicko di Michael Moore per capirli. Un sistema nel quale un cittadino su 7, 47 milioni di persone, non è coperto da assicurazione sanitaria è strutturamente predisposto a squilibri enormi.
Più controverso è criticare il modello scandinavo. Un sistema nel quale, per esempio, i sussidi di disoccupazione raggiungono l'85% dello stipendio e vengono erogati fino a 4 anni dopo il licenziamento farebbe sentire qualsiasi residente straniero come Alice nel paese delle meraviglie. E diverse voci autorevoli (vedi per esempio qui e qui) si sono spese sull'opportunità di importare nel nostro Paese alcuni elementi di questo modello, fra gli altri la cosiddetta 'flexicurity'.
La realtà però è più complessa. Un sistema dinamico e oggettivamente generoso come quello danese, per esempio, fatica enormemente a gestire ed integrare i flussi migratori, ha prodotto la legislazione sull’immigrazione più rigida d'Europa e profonde fratture all’interno delle realtà locali.
Ora: è facile dire che un modello di welfare sostenibile ed equo debba coniugare solidarietà e competitività, diritti del cittadino e pragmatismo, trasparenza ed efficienza. È più difficile trovare risposte adattabili ad una realtà frammentaria come quella italiana. Per questo non è superfluo discutere del funzionamento concreto, quotidiano del welfare in altri paesi europei.
E sulla base delle esperienze di riforme in altri paesi europei, non è superfluo porre, in modo costante, martellante, la madre di tutte le domande: nell'Italia gerontocratica di cui parla Mario Adinolfi, a chi giova parlare di welfare? Per la nostra generazione, è una domanda tutt'altro che retorica.