L'autunno politico qui in America è cominciato col botto. Ovvero, con la visita a sorpresa del Presidente Bush lunedì scorso in Iraq. È la terza volta che Bush vola in Iraq dall'inizio della guerra nel 2003 e la tempistica non è casuale.
Settimana prossima i massimi rappresentanti militari e civili americani in quel paese disgraziato faranno rapporto al Congresso sulla situazione. È molto probabile che, subito dopo gli accenni di rito alla realtà difficile, complessa ecc, parleranno di visibili miglioramenti e tesseranno le lodi della cosidetta "surge", l'aumento di 30 mila truppe deciso da Bush quest'anno.
In questo contesto si inserisce la visita di Bush e il via vai incessante di politici, diplomatici ed analisti in Mesopotamia. Tutti, di questi tempi, tornano invariabilmente folgorati sulla via di Baghdad e parlano di miglioramenti e della necessità di mantenere le truppe.
Niente da eccepire, se non fosse che questi eminenti visitatori viaggiano in Iraq superscortati--Sen. McCain docet--e, se vanno nella capitale, raramente mettono piede fuori dalla "green zone" (sul tema, c'è anche un interessante articolo del Washington Post).
Fossi in loro, non mi azzarderei a fare diversamente, ma forse mi risparmierei corsivi su corsivi ad esaltare la lungimiranza del Comandante in Capo.